Einstein fu, suo malgrado, doppiamente coinvolto nella realizzazione della bomba atomica: in primo luogo perché alcuni aspetti della fisica delle esplosioni nucleari potevano essere compresi anche grazie alla sua teoria della relatività ristretta, e in particolare al legame fra la perdita di massa
e l’energia; in secondo luogo poiché egli era convinto, oggi sappiamo senza motivo, che si dovesse in parte anche al suo intervento se il governo degli Stati Uniti d’America mise a disposizione i capitali che portarono alla costruzione della bomba atomica. Il 2 agosto del 1939 infatti, con lo scienziato ungherese Szilard, Einstein scrisse una lettera a Roosvelt, nella quale ipotizzava che le recenti scoperte della fisica atomica potessero condurre alla costruzione di ordigni di inusitata energia. Suggeriva quindi al presidente degli Stati Uniti di prestare attenzione agli sviluppi della fisica in quel settore e di investire in ricerca, poiché probabilmente gli scienziati tedeschi stavano facendo altrettanto.
A questa prima lettera fece seguito una seconda, datata 7 marzo 1940, nella quale Einstein confermava i suoi timori che in Germania le ricerche stessero proseguendo e si inter- rogava circa l’opportunità di pubblicare i risultati di Szilarld sulle reazioni a catena.
Vi fu poi una terza, brevissima lettera, del 25 aprile 1940, in cui ribadiva al presidente la necessità di finanziare le ricerche. Nel 1945 Szilard tornò da Einstein, questa volta per invitarlo a firmare una lettera nella quale gli scienziati tentavano di dissuadere il presidente Roosvelt dall’usare
la bomba atomica. Einstein scrisse pertanto una lettera di presentazione per Szilard, datata 25 marzo 1945, speran- do che questa permettesse al collega di essere ricevuto
da Roosevelt. Ma la lettera giaceva ancora inevasa sulla sua scrivania quando Roosvelt improvvisamente morì, il 12 aprile 1945. Quattro mesi dopo il suo successore, Truman, sganciava la prima bomba atomica sulla città di Hiroshima. Si racconta che dopo aver appreso la notizia Einstein urlò che non sarebbe mai diventato uno scienziato se avesse saputo che ciò sarebbe accaduto. All’indomani della trage- dia scrisse un messaggio agli intellettuali italiani: «Il nostro mondo è minacciato da una crisi la cui ampiezza sembra sfuggire a coloro che hanno il potere di prendere le grandi decisioni, per il bene o per il male. La potenza scatenata dell’atomo ha tutto cambiato salvo il nostro modo di pensa- re, e noi stiamo scivolando così verso una catastrofe senza precedenti. Perché l’umanità sopravviva, un nuovo modo
di pensare è ormai indispensabile». Dieci anni dopo sarà il filosofo e scienziato Bertrand Russel a offrirgli una seconda possibilità. Era il il 5 aprile del 1955 quando Russel inviò a Albert Einstein una bozza del suo Manifesto, invitandolo a sostenere la sua iniziativa e a sottoscriverlo. Dieci giorni dopo, il 15 aprile, Russell si trovava su un volo Roma-Parigi quando il comandante annunciò la morte di Einstein. Rus- sell piombò nello sconforto. Senza la firma del più emi- nente scienziato al mondo sarebbe stato molto più difficile catturare l’attenzione con il suo Manifesto e convincere gli altri scienziati a sottoscriverlo. Il suo ambizioso progetto sembrava arenarsi. Ma quando giunse all’albergo di Parigi, Russell trovò una lettera, recapitatagli da Londra: “La rin- grazio per la sua lettera del 5 aprile. Firmerò con gioia il suo eccellente pronunciamento. Concordo, inoltre, con la scelta dei possibili firmatari. Albert Einstein.” Fu la sua ultima lettera, l’ultima firma, il suo testamento morale all’umanità. Una firma decisiva per le sorti della campagna anti nucleare in atto ancora oggi.