La sicurezza umana

16/02/2011

Attualmente (dicembre 2010) ci sono nel mondo circa 40 “conflitti armati”. Visto il persistere dei conflitti armati, visti alcuni insuccessi nelle operazioni di pace e visto  l’inaspettato proliferare degli armamenti nucleari, negli ultimi anni l’Onu ha sentito la necessità di approfondire maggiormente il concetto di sicurezza. Non si tratta infatti di un semplice sinonimo di pace, ma di qualcosa di più complesso. Come propose l’ex segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan nel suo rapporto annuale del 1999, è arrivato il momento di cambiare completamente punto di vista e di passare da una “cultura della reazione”, in cui si cerca di risolvere i problemi aggredendosi gli uni con gli altri, a una “cultura della prevenzione”, in cui si prevengono e si risolvono i problemi prima che esplodano in conflitti armati. Su richiesta di Kofi Annan, nel gennaio del 2001, è stata istituita una Commissione sulla Sicurezza Umana, sotto la presidenza della signora Sadako Ogata (ex Alto Commissario Onu per i Rifugiati) e del professor Amartya Sen (Premio Nobel per l’Economia nel 1998) con il compito di definire il nuovo concetto di sicurezza. La relazione finale del 2003 ha il significativo titolo Human Security Now (Sicurezza Umana Adesso) e definisce la sicurezza come “la protezione delle libertà fondamentali, cioè le libertà che sono l’essenza della vita”, tra le quali “rispettare la diversità e incoraggiare lo scambio reciproco”. La nuova idea di sicurezza non coincide più con la protezione dei confini e delle istituzioni di uno Stato, ma è incentrata sulla sicurezza di ogni singola persona. Non solo la guerra, il terrorismo e la violenza diretta minacciano la sicurezza degli uomini. Esistono anche la violenza strutturale, cioè, per esempio, quella dell’ingiustizia, dello sfruttamento e della povertà, che costringono a vivere gli individui in una situazione di notevole disagio senza che venga compiuta esplicitamente alcuna violenza, e quella culturale, con la quale spesso si convincono i popoli che nel nome di Dio o di qualche altro ideale essi sono giustificati, o hanno addirittura il sacro dovere, di nuocere ad altri popoli.