Verso un mondo libero dalle armi nucleari
Nella proposta che ho scritto lo scorso settembre ho delineato un piano in cinque punti per gettare le fondamenta di un mondo libero dalle armi nucleari. Nel piano da me elaborato ho suggerito, tra le altre cose, un’intensificazione degli sforzi in favore del disarmo e la costituzione di accordi di sicurezza non basati sulle armi nucleari. In quell’occasione ho anche ribadito una convinzione che ho maturato da tempo: se vogliamo lasciarci alle spalle l’era del terrore nucleare dobbiamo combattere contro il vero “nemico”. Quel nemico non sono le armi nucleari in quanto tali, né gli stati che le possiedono o le costruiscono. Il vero nemico da affrontare è il modo di pensare che le giustifica: l’esser pronti ad annientare gli altri qualora li avvertiamo come una minaccia o un ostacolo per la realizzazione dei nostri scopi.
Le mie proposte intendono offrire dei suggerimenti sui passi da compiere per superare e trasformare il pensiero che giustifica le armi nucleari e per rafforzare la spinta in direzione della loro abolizione.
In primo luogo propongo di lavorare, sulla base del Trattato di non proliferazione ancora in vigore, all’ampliamento dei dispositivi che sanciscono un chiaro obbligo giuridico a non utilizzare le armi nucleari, così da creare una base istituzionale per ridurre il loro ruolo strategico nella sicurezza nazionale degli stati.
La seconda proposta riguarda la possibilità di inserire la minaccia o l’uso delle armi nucleari fra i crimini di guerra che ricadono sotto la giurisdizione della Corte penale internazionale, così da rendere ancora più esplicita la norma secondo cui le armi nucleari non devono essere usate in nessun caso.
La terza proposta riguarda la creazione di un sistema basato sulla Carta delle Nazioni Unite che permetta all’Assemblea Generale e al Consiglio di Sicurezza di lavorare insieme per la completa eliminazione delle armi nucleari.
Queste proposte possono sembrare difficili da realizzare, ma vorrei ricordare che sono tutte fondate sugli strumenti e sui dispositivi istituzionali esistenti. Non sono affatto obiettivi irraggiungibili.
Il mio più sincero desiderio è che la Conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione fissata per maggio prossimo crei un movimento a sostegno di questi obiettivi, affinché possano essere raggiunti entro i prossimi cinque anni. Tutti gli sforzi in questa direzione dovrebbero culminare in un vertice per l’abolizione delle armi nucleari che dovrebbe svolgersi nel 2015 a Hiroshima e Nagasaki – settanta anni dopo gli attacchi nucleari che hanno devastato queste due città – e che segnerebbe davvero la fine dell’era nucleare.
Ampliare i dispositivi che obbligano gli stati a non usare le armi nucleari
È arrivato il momento che gli stati dotati di armi nucleari giungano a una visione condivisa di un mondo senza armi nucleari e si liberino dal fascino della deterrenza basata sull’equilibrio del terrore
Fino a oggi la creazione di zone denuclearizzate (NWFZ, Nuclear Weapon-Free Zones) ha rappresentato un tentativo di riempire il vuoto lasciato nella legislazione internazionale dalla mancanza di un trattato o di una convenzione che sancisca il divieto generalizzato contro l’uso delle armi nucleari. Nel 2009 sono entrati in vigore i trattati istitutivi delle aree denuclearizzate in Asia centrale e in Africa. Questi trattati seguono accordi simili già stipulati in America Latina e nell’area caraibica, nel Pacifico meridionale e nel sudest asiatico. La decisione da parte di tanti governi di eliminare le armi nucleari da così tante aree del pianeta è veramente significativa.
Sebbene il preambolo del Trattato di non proliferazione nucleare, entrato in vigore quarant’anni fa, inviti i suoi firmatari a «compiere ogni sforzo per allontanare il pericolo di una simile guerra e a prendere le misure atte a garantire la sicurezza dei popoli»,18 è chiaro che gli stati dotati di armi nucleari non hanno rispettato tale obbligo.
Come è ovvio, il Trattato di non proliferazione non concede a questi stati il diritto di possedere armi nucleari all’infinito, eppure la loro ostinata adesione alla dottrina della deterrenza nucleare ha avuto l’effetto di incoraggiare sia la “proliferazione verticale” (aumento e ammodernamento degli arsenali nucleari all’interno degli stati nucleari) sia la “proliferazione orizzontale” (il trasferimento di tecnologie nucleari ad altri stati ed enti). La verità è che con il loro comportamento hanno minato le fondamenta stesse del regime giuridico del Trattato di non proliferazione.
È arrivato il momento che gli stati dotati di armi nucleari giungano a una visione condivisa di un mondo senza armi nucleari e si liberino dal fascino della deterrenza – la convinzione illusoria che la sicurezza possa essere mantenuta con le minacce di reciproca distruzione e con l’equilibrio del terrore. È necessario un nuovo modo di pensare basato sul comune impegno a ridurre le minacce e sulla creazione di anelli di sicurezza fisica e psicologica sempre più ampi, capaci di abbracciare il mondo intero.
Come prova del loro sincero proposito di rinunciare allo strumento della deterrenza chiedo agli stati possessori di armi nucleari di prendere questi tre impegni durante la Conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione e di lavorare per la loro piena attuazione entro il 2015:
1. Concludere un accordo legalmente vincolante per estendere le “assicurazioni negative di sicurezza”, ovvero l’impegno a non utilizzare armi nucleari contro qualsiasi stato non nucleare che rispetti gli obblighi sanciti dal Trattato di non proliferazione;
2. Avviare i negoziati per la stesura di un trattato che fissi in una norma il loro impegno a non utilizzare le armi nucleari gli uni contro gli altri;
3. Laddove devono essere ancora istituite zone denuclearizzate, e come misura transitoria fino alla loro creazione, compiere dei passi per dichiarare tali aree “regioni esenti dall’utilizzo di armi nucleari”.
Non è mia intenzione sottovalutare le difficoltà insite nel processo di attuazione di tali impegni, in particolare del secondo e del terzo, ma vorrei far notare che si tratta di decisioni politiche che gli stati nucleari possono prendere adesso in qualità di paesi possessori di armi nucleari.
Riguardo alle promesse di non impiegare armi nucleari contro altri stati, anche un accordo limitato agli Stati Uniti e alla Russia potrebbe essere un evento spartiacque capace di ridurre considerevolmente le minacce percepite, di cui beneficerebbero in egual misura anche i loro alleati. Un tale accordo renderebbe più concreta la possibilità di rivedere la prassi del dispiegamento extraterritoriale delle testate nucleari e i programmi di difesa missilistici, segnali che costituirebbero un importante passo nella direzione di un graduale smantellamento del cosiddetto “ombrello nucleare”.
Il rapporto conclusivo della Commissione internazionale per il disarmo e la non proliferazione nucleare (un’iniziativa congiunta dei governi di Australia e Giappone) pubblicato a dicembre del 2009 rivela che all’interno dei vari paesi appartenenti agli ombrelli nucleari sono aumentati gli appelli in favore di una revisione della dottrina nucleare tradizionale.
La creazione di regioni esenti dall’utilizzo di armi nucleari sarebbe utile sotto molti aspetti; in particolare potrebbe accelerare il processo di denuclearizzazione a livello globale e favorire la messa a punto di un meccanismo complessivo di prevenzione della proliferazione di tutte le armi di distruzione di massa e del terrorismo nucleare. Lo scopo principale sarebbe quello di trasformare l’atteggiamento ostile che prevale in alcune aree – comprese quelle in cui sono presenti gli stati nucleari o i loro alleati – di rispondere alla minaccia con altre minacce. Bisogna incoraggiare l’approccio alla riduzione della minaccia reciproca, come dimostra il Programma cooperativo di riduzione della minaccia (CTR, Cooperative Threat Reduction) concordato dagli Stati Uniti e dagli stati dell’ex Unione Sovietica subito dopo la fine della guerra fredda.
Sfortunatamente, il Trattato di non proliferazione nella sua attuale versione non prevede norme che regolino la riduzione delle minacce e l’offerta di assicurazioni reciproche in grado di aumentare il clima di fiducia fra gli stati. Qualora dei negoziati a livello regionale riuscissero in questa impresa, la partecipazione ad accordi sul disarmo verrebbe chiaramente percepita come molto più vantaggiosa e significativa in termini di sicurezza fisica e psicologica, rispetto a una strategia di rafforzamento dell’isolamento verso l’esterno. Il successo di questi accordi avrà l’effetto di disincentivare la costruzione e l’acquisto di armi nucleari.
Se, come mi auguro, grazie a queste strutture si riusciranno a creare anelli sempre più estesi di sicurezza fisica e psicologica, capaci di abbracciare non solo i paesi appartenenti agli ombrelli nucleari degli stati dotati di armi nucleari ma anche la Corea del Nord e l’Iran e paesi come l’India, il Pakistan e Israele che attualmente non partecipano al Trattato di non proliferazione, avremo fatto un importante passo avanti verso l’obiettivo della denuclearizzazione del pianeta.
I trattati che idealmente dovrebbero essere ratificati dagli stati nell’ambito di una regione esente dall’utilizzo del nucleare sono: il Trattato sulla messa a bando degli esperimenti nucleari (CTBT, Comprehensive Test Ban Treaty), la Convenzione contro il terrorismo nucleare (Nuclear Terrorism Convention), la Convenzione sulla protezione fisica del materiale nucleare (Convention on the Physical Protection of Nuclear Material), la Convenzione per la messa al bando delle armi biologiche (BWC, Biological Weapons Convention) e il Trattato sulle armi chimiche (Chemical Weapons Treaty). In futuro, a questa lista dovrebbe essere aggiunto il Trattato per la messa a bando della produzione del materiale fissile (Fissile Material Cut-Off Treaty) una volta che sarà stato perfezionato.
Negli sforzi per il disarmo è necessario un approccio multilaterale. Il presidente John F. Kennedy (1917-1963) dichiarò: «Non esiste un’unica, semplice soluzione per raggiungere questo tipo di pace, nessuna formula magica o eccezionale adottabile solo da una o due potenze. La pace vera deve essere il prodotto di molte nazioni, la somma di molti atti».19
Nella proposta che ho pubblicato lo scorso settembre ho rivolto a tutti i paesi attualmente impegnati nei colloqui a sei sul programma nucleare della Corea del Nord (Cina, Giappone, Corea del Nord, Russia, Corea del Sud e Stati Uniti) l’invito a dichiarare il nordest asiatico “regione esente dall’utilizzo di armi nucleari” come passo verso la denuclearizzazione dell’intera area, compresa ovviamente la rinuncia della Corea del Nord al suo programma nucleare. Spero fortemente che vengano avviati al più presto dei colloqui per siglare un accordo regionale analogo nel Medio Oriente e nell’Asia Meridionale, due aree in cui c’è stata un’escalation di tensione.
Mettere fuori legge l’uso delle armi nucleari
Anche queste armi devono essere totalmente bandite dalla comunità internazionale come quelle chimiche e batteriologice
La mia seconda proposta riguarda la definizione di norme dove si dichiari in modo esplicito che utilizzare le armi nucleari è illegale.
Fino a oggi sono stati stipulati diversi trattati che proibiscono in modo generalizzato lo sviluppo, la fabbricazione, il possesso, lo stoccaggio, la vendita o l’acquisto di armi di distruzione di massa chimiche e batteriologiche. Il protocollo di Ginevra del 1925, che vieta l’uso di questa tipologia di ordigni, fu adottato alla luce dell’enorme sofferenza provocata dall’uso dei gas tossici durante la prima guerra mondiale, e ha rappresentato un importante passo avanti verso la stesura di questi trattati.
Il Protocollo fa un esplicito richiamo alla condanna espressa dall’opinione pubblica internazionale dell’uso delle armi chimiche, dichiarando di «riconoscere universalmente come incorporata nel diritto internazionale la loro proibizione, che si impone alla coscienza e alla pratica delle nazioni».20Il protocollo estende il divieto anche alle armi batteriologiche.
Oggi il solo fatto che uno stato sia riconosciuto possessore di armi chimiche e batteriologiche suscita lo sdegno della comunità internazionale; il disonore associato al possesso (in misura maggiore rispetto a un eventuale loro uso) di questi ordigni è ormai consolidato. A mio avviso è necessario attribuire un marchio simile anche alle armi nucleari, che sono indubbiamente le più disumane tra tutti i tipi di armi.
Alla conferenza annuale del Dipartimento per l’informazione pubblica delle Nazioni Unite (DPI, Department of Public Information) tenuta lo scorso settembre a Città del Messico dalle organizzazioni non governative, a cui hanno partecipato alcuni rappresentanti della Soka Gakkai, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha dichiarato: «Le armi nucleari sono immorali e non deve essere accordato loro nessun valore militare».21È ormai tempo che chi ricopre una posizione di responsabilità riconosca che le armi nucleari sono ripugnanti e inutilizzabili a livello militare.
Come dimostra il processo che ha portato alla totale messa al bando delle armi chimiche e batteriologiche, il primo passo da compiere per porre fine all’era delle armi nucleari deve essere la messa a punto di una norma che ne proibisca l’impiego.
Più di cinquant’anni fa, nel settembre del 1957, il mio maestro Josei Toda pronunciò una dichiarazione di condanna delle armi nucleari definendole un male assoluto, e affermò con forza che non devono essere usate in nessuna circostanza. Negli anni successivi, con una serie di risoluzioni di condanna l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha ribadito che chi utilizza le armi nucleari commette un crimine contro l’umanità e la civiltà. Purtroppo dobbiamo constatare che a oggi non è stata ancora creata una norma giuridica che vada in questa direzione.
Nel 1996 la Corte internazionale di giustizia si è pronunciata con un parere consultivo sulla minaccia di utilizzare le armi nucleari o sul loro effettivo uso: «La minaccia o l’uso delle armi nucleari sono generalmente contrari […] ai principi e alle regole del diritto umanitario». La Corte si è però astenuta dall’esprimersi sulla liceità della minaccia di usare gli ordigni nucleari o sul loro utilizzo «in una situazione estrema di legittima difesa in cui la stessa sopravvivenza dello stato sarebbe messa in causa».22 Fin quando questo nodo cruciale non verrà sciolto, sarà sempre possibile trovare una motivazione che giustifichi l’uso delle armi nucleari, ed è questa la ragione per cui dobbiamo stabilire una norma chiara che metta fuori legge l’uso delle armi nucleari.
Il giudice Christopher Weeramantry, presidente dell’Associazione internazionale degli avvocati contro le armi nucleari (IALANA, International Association of Lawyers Against Nuclear Arms), era all’epoca uno dei membri della Corte chiamati a pronunciarsi su quello specifico caso. Egli espresse il suo personale dissenso con il parere della Corte, affermando che «l’uso delle armi nucleari o la minaccia di usarle è illegale in qualunque circostanza».23 Nel suo saggio Universalizzare il diritto internazionale egli ha posto l’accento sul fatto che tenere conto delle voci e delle opinioni dei cittadini comuni contribuisce a rendere più universale il diritto internazionale, sottolineando altresì l’importanza delle «opinioni dei popoli come opinio juris». 24
Ripercorrendo la storia delle armi nucleari vediamo che di fronte a situazioni di grave crisi la comunità internazionale si è sempre adoperata per scongiurarle, facendo così importanti passi in avanti. Grazie a questi sforzi gli stati hanno progressivamente abbandonato l’idea di ricorrere alle armi nucleari. Ciò è stato possibile grazie a una confluenza di forze: l’opera di dissuasione, morale e pratica, esercitata dai leader politici, e il crescente peso dell’opinione pubblica secondo cui il ripetersi degli orrori delle armi nucleari deve essere evitato a tutti i costi.
Ad esempio, il primo dispositivo che ha imposto una restrizione parziale alla proliferazione nucleare – il Trattato sulla messa a bando parziale degli esperimenti nucleari del 1963 – fu adottato grazie agli sforzi dei governanti degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica, le due superpotenze che durante la Crisi dei missili di Cuba dell’ottobre 1962 erano sprofondate nell’abisso della guerra nucleare, e grazie alle pressioni esercitate dal movimento pacifista “Ban the bomb” (Metti al bando la bomba) guidato da Linus Pauling (1901-1994) e da altri scienziati.
Analogamente, il Trattato sui missili nucleari a medio raggio (INF, Intermediate-Range Nuclear Forces) del 1987 – il primo vero trattato che ha previsto una riduzione del numero delle armi nucleari – fu concluso dopo una serie di incontri al vertice fra Stati Uniti e Unione Sovietica in seguito allo shock provocato dalla catastrofe nucleare di Chernobyl. Un altro fattore cruciale che ha contribuito a questa inversione di tendenza è stata la decisa opposizione dell’opinione pubblica contro lo spiegamento di armi nucleari tattiche sul suolo europeo negli anni Ottanta.
Per quanto modesti possano sembrare, i risultati ottenuti confermano che nella società internazionale è cresciuta la consapevolezza che le armi nucleari non devono essere usate in nessun caso e che bisogna adoperarsi per contenere la loro potenziale minaccia. Questo dato è ancora più significativo se si pensa che nel periodo immediatamente successivo alla fine della seconda guerra mondiale le armi nucleari erano giudicate armi convenzionali estremamente distruttive, il cui utilizzo era in gran parte considerato inevitabile.
Per quanto grande possa essere la distanza che separa i nostri ideali dalla realtà, non dobbiamo abbandonare la speranza o rassegnarci. Al contrario, i privati cittadini di tutto il mondo devono unirsi per dare forma a una nuova realtà. Il divieto delle mine e delle bombe a grappolo ottenuto in anni recenti è il risultato di questa solidarietà.
L’anno scorso ho espresso l’auspicio che si dia avvio a un movimento a sostegno di una “dichiarazione per l’abolizione del nucleare da parte della popolazione mondiale” che veda come protagonisti singoli cittadini, organizzazioni, gruppi spirituali e religiosi, università e istituti di ricerca, come anche agenzie interne al sistema delle Nazioni Unite.
Unitamente a questo, propongo che venga modificato lo statuto della Corte penale internazionale, inserendo l’utilizzo delle armi nucleari fra i crimini di guerra.
Dobbiamo fare in modo che il divieto delle armi nucleari diventi una norma condivisa e meta comune dell’umanità entro il 2015, l’anno che segnerà il settantesimo anniversario del bombardamento atomico su Hiroshima e Nagasaki. L’adozione di questa norma servirà a spianare la strada verso la completa abolizione delle armi nucleari – il fervente desiderio dei sopravvissuti degli attacchi nucleari e della popolazione di tutto il mondo.
Molti stati che presero parte ai negoziati per l’istituzione della Corte penale internazionale nel 1998 avevano chiesto che l’uso delle armi nucleari fosse inserito fra i crimini di guerra che ricadono sotto la giurisdizione della Corte. Purtroppo, il testo finale dello Statuto di Roma non ha recepito la loro richiesta. Nella proposta di pace che pubblicai l’anno dopo chiesi che la questione venisse riesaminata al fine di migliorare l’efficacia della Corte stessa. Nel mese di novembre 2009, nel corso dell’ottava sessione dell’Assemblea degli stati parti dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale, il Messico ha proposto di emendare lo Statuto inserendo l’uso delle armi nucleari fra le competenze della Corte. A tal fine è stato creato un gruppo di lavoro con il compito di esaminare tale modifica, oltre alla revisione di altri articoli dello Statuto. Accolgo con soddisfazione questa iniziativa e le importanti opportunità che offre.
Gli stati che non aderiscono alla Corte penale internazionale, in particolare gli stati dotati di armi nucleari, dovrebbero essere invitati a partecipare come osservatori alle discussioni del gruppo di lavoro. È della massima importanza che il maggior numero possibile di rappresentanti degli stati si confronti in un dibattito serio e impegnato sulla natura disumana degli ordigni nucleari e sull’intollerabile minaccia che essi rappresentano. Ovviamente l’obiettivo della revisione proposta non è sanzionare l’uso effettivo delle armi nucleari ma decidere una norma inequivocabile che stabilisca che il loro uso è inaccettabile in qualsiasi circostanza.
Per i membri della Soka Gakkai la dichiarazione del secondo presidente Josei Toda sull’abolizione delle armi nucleari rimane una fonte costante di ispirazione. Guidati dal suo appello, nei cinquanta anni trascorsi da allora abbiamo continuato a denunciare l’orrore delle armi nucleari cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica e di raccogliere il sostegno necessario per la loro abolizione. Nel settembre del 2007, in occasione del cinquantesimo anniversario della dichiarazione di Toda, la SGI ha lanciato il Decennio per l’abolizione del nucleare; inoltre abbiamo preso parte alla Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (ICAN, International Campaign for the Abolition of Nuclear Weapons) promossa dai medici internazionali per la prevenzione della guerra nucleare (IPPNW, Physicians for the Prevention of Nuclear War) a sostegno dell’adozione di una Convenzione contro le armi nucleari (NWC, Nuclear Weapons Convention) finalizzata alla totale messa al bando di queste armi. Sono convinto che una revisione dello Statuto della Corte penale internazionale, che classifichi come crimine di guerra l’uso delle armi nucleari, possa rafforzare la spinta per l’adozione della Convenzione.
Dall’inizio del 2010 i membri della Soka Gakkai giapponese, in particolare i giovani, sono impegnati in un dialogo a livello di base per sensibilizzare i loro coetanei sulla questione del nucleare; hanno anche promosso una raccolta di firme a sostegno della Convenzione contro le armi nucleari, che presenteranno alla Conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione fissata per maggio prossimo. Caratteristica fondamentale dei giovani è rimanere impassibili davanti alle difficoltà e alle correnti impetuose della realtà, dedicando la vita alla realizzazione degli ideali più nobili. Se la chiave per proibire le armi nucleari consiste nel generare un movimento travolgente di opinione pubblica, è nella solidarietà dei giovani dediti a questa causa che possiamo trovare la forza necessaria per trasformare la nostra epoca.
Finora la mostra Da una cultura di violenza a una cultura di pace: trasformare lo spirito umano, organizzata dalla Soka Gakkai nel 2007, è stata esposta in cinquanta città di ventidue paesi. Con lo stesso fine abbiamo realizzato a scopo educativo un DVD in cinque lingue che documenta le esperienze di alcuni sopravvissuti alla bomba atomica,Testimoni di Hiroshima e Nagasaki. Le donne parlano a favore della pace.Determinati a realizzare la missione che abbiamo ereditato da Josei Toda continueremo a utilizzare questi strumenti educativi come veicolo per generare una corrente inarrestabile di consenso popolare a favore della proibizione e abolizione delle armi nucleari.
Utilizzare l’articolo 26 per accelerare il processo di disarmo
Questo articolo della Carta delle Nazioni Unite impone al Consiglio di Sicurezza di trovare strumenti per mantenere la pace con il minimo delle risorse umane ed economiche da destinare agli armamenti
La terza questione di cui vorrei parlare riguarda gli sforzi di collaborazione fra l’Assemblea Generale e il Consiglio di Sicurezza riguardo all’abolizione del nucleare, sulla base del dettato della Carta delle Nazioni Unite.
Attualmente gli Stati Uniti e la Russia sono impegnati nei negoziati per stipulare un nuovo trattato sul disarmo che sostituisca il Trattato di riduzione delle armi strategiche (START I, Strategic Arms Reduction Treaty), tecnicamente scaduto a dicembre scorso. Anche se i due paesi riuscissero a concludere un accordo ambizioso in termini di riduzione degli arsenali, rimarrebbe comunque un ingente numero di testate nucleari sparse sulla terra. [Il nuovo trattato, lo START II, che prevede la riduzione del trenta per cento degli arsenali attualmente in funzione, è stato firmato l’8 aprile da Obama e dal presidente russo Dmitri Medvedev, n.d.r.].
Per portare avanti in maniera efficace il processo di riduzione delle armi nucleari è essenziale coinvolgere nei negoziati sul disarmo anche tutti gli altri stati che le possiedono. A tal fine propongo che venga tracciata e attuata una tabella di marcia di misure da adottare sulla base della Carta delle Nazioni Unite – Carta che tutti gli stati membri sono tenuti a rispettare – per avvicinarci sempre di più all’obiettivo di un mondo libero dalle armi nucleari.
Secondo l’articolo 11 della Carta, «l’Assemblea Generale può esaminare i principi generali di cooperazione per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, compresi i principi che regolano il disarmo e la disciplina degli armamenti, e può fare, riguardo a tali principi, raccomandazioni sia ai membri, sia al Consiglio di Sicurezza, sia a entrambi».
Inoltre l’articolo 26 stabilisce che il Consiglio di Sicurezza ha il compito di formulare piani per l’istituzione di un sistema di disciplina degli armamenti «allo scopo di promuovere lo stabilimento e il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale col minimo dispendio di risorse umane ed economiche mondiali per gli armamenti».
Fino a oggi, l’Assemblea Generale si è occupata attivamente delle questioni legate al disarmo in base alle prerogative che le sono assegnate dall’articolo 11. Al contrario, il Consiglio di Sicurezza non ha onorato gli impegni previsti dall’articolo 26, che è rimasto sostanzialmente inapplicato per tutti questi anni. Viste le premesse, il vertice del Consiglio di Sicurezza sul disarmo nucleare e la non proliferazione che si è tenuto a settembre scorso è un segnale molto incoraggiante.
Per poter mantenere gli impegni presi di «creare le condizioni per un mondo senza armi nucleari»,25 il Consiglio di Sicurezza – i cui cinque membri permanenti sono tutte potenze nucleari – dovrebbe prendere l’iniziativa, fissando un luogo di incontro per svolgere dei negoziati multilaterali per il disarmo attraverso, ad esempio, una serie di riunioni al vertice che prevedano la partecipazione del Segretario Generale.
Contando sull’enorme produzione di risoluzioni dedicate all’abolizione delle armi nucleari, l’Assemblea generale potrebbe cominciare a indirizzare al Consiglio di Sicurezza delle raccomandazioni con cadenza annuale, sollecitandolo ad adempiere le sue responsabilità attraverso il raggiungimento di un obiettivo minimo di riduzione degli armamenti. Per conferire una maggiore autorevolezza morale a questa raccomandazione, l’Assemblea potrebbe corredarla con delle relazioni sulle attività degli stati che si adoperano per ridurre le tensioni e a sostegno del disarmo.
È ovvio che la responsabilità ultima in materia di abolizione delle armi nucleari appartiene agli stati che le possiedono. Ma ciò non significa che gli stati che non hanno armi nucleari debbano stare a guardare e attendere passivamente che i negoziati per la riduzione degli arsenali si concludano. Attraverso le loro iniziative possono esercitare pressioni allo scopo di accelerare il processo di abolizione. Tali sforzi sarebbero perfettamente in linea con il percorso tracciato dal parere consultivo della Corte internazionale di giustizia secondo cui «ogni tentativo realistico di un disarmo generale e completo necessita della cooperazione di tutti gli stati».26
Attraverso queste risoluzioni, che testimoniano la volontà largamente diffusa nella società internazionale di arrivare al disarmo nucleare, l’Assemblea Generale può incoraggiare gli sforzi ambiziosi di quegli stati che lavorano per allentare le tensioni. Come suggerisce l’Appello della repubblica di Costa Rica del 2008, con cui si chiede che venga stabilito un sistema per la disciplina degli armamenti sulla base dell’Articolo 26, questa è la via da percorrere per «uscire dal circolo vizioso della corsa agli armamenti che sta avendo una forte accelerazione in diverse regioni del mondo, dove entra in competizione con le priorità dell’attribuzione delle risorse per fini sociali e degli obiettivi di sviluppo concordati a livello internazionale, compresi gli Obiettivi del millennio, e pregiudica la sicurezza umana».27
In un’epoca in cui le nazioni dovrebbero cooperare per rispondere alle sfide comuni che l’umanità deve affrontare, come per esempio la povertà e il degrado ambientale, la spesa militare ha assorbito una quantità ingente delle limitate risorse economiche e umane. Le armi nucleari sono un male fondamentale e non sono in nessun caso la soluzione ai problemi, al contrario possono solo aggravarli.
Jayantha Dhanapala, presidente del Movimento Pugwash (Pugwash Conferences on Science and World Affairs), e Patricia Lewis, vice direttrice del Centro per gli studi sulla non proliferazione presso l’Istituto di Studi Internazionali di Monterey (Center for Nonproliferation Studies), sono due esperti di fama mondiale in materia di disarmo. In una prefazione comune a un rapporto dell’Istituto delle Nazioni Unite per la Ricerca sul Disarmo (UNIDIR, United Nations Institute for Disarmament Research), scrivono che in qualunque discussione sul disarmo, che riguardi le armi di piccolo taglio o le armi di distruzione di massa, la sicurezza umana deve essere prioritaria: «È necessario rendere attuale la questione del disarmo e ridarle il posto centrale che le spetta: essere il fulcro del nostro pensiero per la sicurezza basato sulla gente. Il disarmo è un’azione umanitaria».28
Sulla base di questo principio, chiedo con forza che ci si adoperi al massimo per dare piena attuazione all’articolo 26 della Carta delle Nazioni Unite affinché il Consiglio di Sicurezza adempia i suoi obblighi per il disarmo, rafforzando la spinta verso l’abolizione del nucleare e la smilitarizzazione del pianeta.
Il Giappone, come paese che ha sperimentato direttamente gli orrori della guerra nucleare, fonda la sua politica sui tre principi di non possedere, non sviluppare e non consentire l’installazione di armi nucleari sul proprio territorio, oltre che sui tre principi riguardanti la loro esportazione; inoltre ha sostenuto per più di un decennio le risoluzioni dell’Assemblea Generale per l’abolizione delle armi nucleari. Se vuole diventare la forza trainante nella costruzione del consenso dell’opinione pubblica a favore dell’abolizione del nucleare, il Giappone dovrebbe mantenere ferma la sua adesione a questi principi.
Nel mese di novembre dello scorso anno il Giappone e gli Stati Uniti hanno rilasciato una dichiarazione congiunta con la quale si impegnano a creare le condizioni per la totale eliminazione delle armi nucleari. Il Giappone è diventato membro del Consiglio di Sicurezza quest’anno. Credo che questa nazione debba cogliere tale opportunità per incoraggiare fortemente gli Stati Uniti e le altre potenze nucleari ad avanzare in direzione del disarmo. In questo e in altri modi, il Giappone ha il dovere e la responsabilità di lavorare per liberare il mondo dalle armi nucleari.
Note
18) IAEA, Treaty on the Non-Proliferation of Nuclear Weapons (Trattato di non proliferazione delle armi nucleari), 1970,http://www.iaea.org/Publications/Documents/Infcircs/Others/infcirc140.pdf(ultimo accesso febbraio, 2010).
19) J. F. Kennedy, Commencement Address (Discorso alla cerimonia di conferimento della laurea presso l’American University), 1963,http://www.jfklibrary.org/Historical+Resources/Archives/Reference+Desk/Speeches/JFK/003POF03AmericanUniversity06101963.htm(ultimo accesso febbraio 2010).
20) ICRC, Protocol for the Prohibition (Protocollo concernente la proibizione di usare in guerra gas asfissianti, tossici o simili e mezzi batteriologici), Ginevra, giugno 1925, http://www.icrc.org/ihl.nsf/FULL/280
(ultimo accesso febbraio 2010).
21) Ban Ki-moon, For Peace and Development: Disarm Now! (Per la pace e lo sviluppo. Il disarmo ora!), Discorso di apertura della 62esima conferenza annuale del DPI/NGO, Città del Messico, 9 settembre 2009,http://www.un.org/News/Press/docs/2009/sgsm12445.doc.htm (ultimo accesso febbraio 2010).
22) ICJ, Legality of the Threat or Use of Nuclear Weapons, (Parere della Corte internazionale di giustizia sulla legalità della minaccia o dell’uso delle armi nucleari), 1996, p. 266, http://www.icj-cij.org/docket/files/95/7495.pdf(ultimo accesso febbraio 2010).
23) C. Weeramantry, Dissenting Opinion of Judge Weeramantry (Opinione dissenziente del Giudice Weeramantry), p. 433, http://www.icj-cij.org/docket/files/95/7521.pdf (ultimo accesso febbraio 2010).
24) C. Weeramantry, Universalising International Law (Universalizzare il diritto internazionale), M. Nijhoff Publishers, Leiden, Boston, 2004, p. 115.
25) UN, Maintenance of international peace and security (Mantenimento della pace e della sicurezza internazionali), 24 settembre 2009,http://www.un.org/Docs/sc/unsc_resolutions09.htm (ultimo accesso febbraio 2010).
26) ICJ, op. cit., p. 264.
27) UN, Strengthening collective security (Rafforzare la nostra sicurezza collettiva), presentato dalla Costa Rica, 2008,
http://www.securitycouncilreport.org/atf/cf/%7B65BFCF9B-6D27-4E9C-8CD3-CF6E4FF96FF9%7D/Disarm%20S2008697.pdf
(ultimo accesso febbraio 2010).
28) J. Dhanapala e P. Lewis, Preface. Disarmament as Humanitarian Action(Prefazione. Il disarmo come azione umanitaria), 2001,http://www.unidir.ch/pdf/ouvrages/pdf-1-92-9045-001-1-en.pdf (ultimo accesso febbraio 2010).
tratto da: Daisaku Ikeda – “Verso una nuova era di creazione di valore” Proposta di Pace 2010