All’inizio di questo secolo era diffusa l’opinione che il progresso umano non avesse limiti. Ora che sta volgendo al termine sappiamo che gli alti ideali e i grandi obiettivi immaginati al suo inizio sono stati delusi dalle ideologie estremiste che hanno attraversato il mondo, lasciando sulla loro scia conflitti e carneficine. Forse nessun altro secolo è stato testimone di tanta infinita tragedia e umana follia: l’ambiente naturale è stato gravemente danneggiato, e il divario tra ricchi e poveri è più profondo che mai.
Esattamente tre anni fa, nel corso di un seminario all’East-West Center delle Hawaii, avevo espresso la mia sensazione che troppo spesso il XX secolo si fosse macchiato di orrendi massacri1. Quanto più ci avviciniamo alla sua fine, tanto più forte è il senso di angoscia di fronte alla futilità e allo spreco che hanno caratterizzato questo periodo della storia umana.
Tempo addietro, quando si levavano le prime voci di allarme di fronte al pericolo di una guerra nucleare su scala planetaria, si sentiva spesso utilizzare la terribile espressione overkill (eccessivo potenziale distruttivo). In seguito, grazie ai coraggiosi sforzi dell’ex presidente sovietico Michail Gorbaciov e di altri leader mondiali, la configurazione che aveva portato alla Guerra fredda venne smantellata, e oggi l’incubo di un’apocalisse nucleare sembra in qualche modo più remoto. Eppure, il termine overkill è ancora attuale e, come la maledizione di Caino, tormenta il mondo intero.
Il filosofo Isaiah Berlin ha scritto: «Nessun secolo ha visto così tante stragi crudeli e ripetute di esseri umani come quello che stiamo vivendo»2. Un’opinione condivisa da molti intellettuali, tra cui lo storico statunitense Arthur Schlesinger Jr.
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L’impatto della civiltà occidentale
Nel saggio Civilization on trial, pubblicato nel 1947, Toynbee abbraccia una prospettiva a lungo termine, dapprima da qui a cento anni, per arrivare a spingersi fino a tremila anni nel futuro: «Gli storici del domani diranno, credo, che il grande evento del XX secolo fu l’impatto della civiltà occidentale su tutte le altre società viventi sulla terra a quell’epoca»13. A partire da questa indiscutibile affermazione, egli scrive, immaginando il punto di vista degli storici di un secolo dopo, nel 2047: «Diranno di questo impatto che fu così forte e onnicomprensivo da sconvolgere la vita di tutte le sue vittime»14.
Oggi siamo a metà strada tra il 1947 e il 2047, e vediamo che molte realtà contemporanee confermano il suo punto di vista esposto mezzo secolo fa. Confrontato con l’ordine che regnava all’interno delle società comunali pre-moderne (e sospendendo qualsiasi tipo di giudizio riguardo alla qualità di tale ordine), questo nostro mondo post-moderno è lungi dall’essere ordinato, ed è stato effettivamente “messo sottosopra”.
L’ipotesi di Toynbee si spinge poi velocemente verso una prospettiva di mille anni nel futuro. Gli storici dell’anno 3047, egli afferma, saranno «soprattutto interessati ai tremendi contraccolpi. Entro il 3047 la nostra civiltà occidentale, così come noi e i nostri predecessori l’abbiamo conosciuta negli ultimi milledue- milletrecento anni a partire dal suo emergere dall’Alto Medioevo, potrebbe essersi così trasformata da non essere riconoscibile, in seguito a contro-influenze provenienti dai mondi esterni, quelli che ora, ai nostri giorni, stiamo in qualche modo inglobando nel nostro – influenze dalla cristianità ortodossa, dall’Islam, dall’Induismo, dall’estremo Oriente»15.
E poi, avanti di un altro millennio, immaginando che: «Gli storici del 4047 diranno che l’impatto della civiltà occidentale sui suoi contemporanei, nella seconda metà del secondo millennio dell’era cristiana, fu l’evento epocale di quell’età, perché fu il primo passo verso l’unificazione di tutta l’umanità in un’unica società. Ai loro occhi, forse, l’unità del genere umano sarà diventata una delle condizioni basilari della vita della specie – un elemento dell’ordine naturale…»16.
Nella visione di Toynbee, quindi, ci vorrà molto tempo prima che la globalizzazione di cui oggi si parla, soprattutto in termini di integrazione economica globale, si basi effettivamente su una consapevolezza spontanea di tutti i cittadini del mondo di condividere uno stesso destino come passeggeri di quella che potrebbe essere chiamata l’ “astronave Terra”.
E poi, dopo ancora mille anni: «Gli storici del 5047 diranno, immagino, che l’importanza di questa unificazione sociale di tutto il genere umano non deve essere ricercata in campo tecnologico o economico, né in quello delle guerre o della politica, ma nel campo della religione»17. Si tratta davvero di una prospettiva che spazia verso orizzonti lontani, come si addice a uno dei maggiori storici del XX secolo.
Eppure nel 1947, l’anno in cui venne scritto questo saggio, gli Stati Uniti adottarono la politica di Truman e il Piano Marshall, all’interno della strategia più vasta di contenimento dell’Unione Sovietica. Allo stesso tempo l’Unione Sovietica istituì, in risposta, il Cominform e cominciò a parlare di produzione di armi nucleari.
Nel mezzo dei tumulti che ancora continuavano sulla scia della seconda Guerra mondiale, già si stavano addensando le scure nubi del confronto Est-Ovest.
Non possiamo ignorare il valore della visione di Toynbee, enunciata in un epoca in cui le persone avevano preoccupazioni molto più immediate ed erano influenzate da interessi miopi. La sua prospettiva spazia su una scala così vasta da venir facilmente liquidata come pura fantasia, insufficientemente corroborata da fatti. E in effetti, la sua visione macroscopica è stata definita criticamente come il prodotto non di uno storico ma di un visionario fatalista.
Certamente, quando Toynbee scrisse questo saggio la minaccia di un apocalisse nucleare, o il collasso dell’ambiente su scala planetaria che ha messo a repentaglio la pura e semplice sopravvivenza del genere umano nel XXI secolo – e ancor più nei prossimi mille o duemila anni – era molto inferiore a quella attuale.
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Ponete fine all’era delle armi nucleari!
Sono trascorsi trecentocinquanta anni dal trattato di Pace di Westfalia, trattato che gettò le basi dell’odierno assetto politico internazionale incentrato sulllo stato- nazione. È evidente che oggi questo genere di struttura non è adeguata a trattare problemi di portata globale. Per fare un solo esempio: nonostante nel corso del tempo siano stati lanciati appelli per la creazione di un tribunale permanente in grado di giudicare coloro che violano le leggi internazionali contro il genocidio, i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità, un simile organismo non è ancora nato. Ma finalmente, data la diffusa sensazione che la risposta della comunità internazionale alla situazione dell’ex-Yugoslavia, del Rwanda, e di altri paesi sia stata dolorosamente inadeguata, è stato indetto a Roma nel giugno di quest’anno un convegno internazionale che si prevede conduca alla creazione di una Corte penale internazionale permanente.
Oltre a giudicare coloro che sono responsabili di crimini contro le leggi internazionali che regolano il rispetto dell’umanità e dei diritti umani, tale organo si occuperà anche di sancire i risarcimenti dovuti alle vittime dei suddetti crimini. Per me un tribunale di questo tipo rappresenta una pietra miliare per l’elaborazione e l’affermazione di una ‘legge internazionale di pace’, e ne attendo con ansia l’istituzione48.
I temi e i problemi che riguardano l’umanità non possono rientrare nel raggio di azione di un singolo paese, e finalmente ci si rende conto che per trattarli occorre l’impegno e la cooperazione della comunità internazionale. Tuttavia fino a oggi gli stati tendevano a considerare i vari tentativi di creare sistemi e organismi in grado di rispondere efficacemente a questo genere di necessità come tentativi volti a limitare e a relativizzare la sovranità nazionale – cosa vera in una qualche misura – e a ciò si devono le ripetute resistenze opposte all’idea di una Corte penale internazionale permanente. L’immagine di un mondo meno incentrato sullo stato-nazione forse è ancora incerta e lontana, ma è del tutto evidente che l’individuo avrà maggior influenza in un mondo in cui lo stato ne avrà di meno. Il ruolo e la responsabilità dei singoli individui – in quanto protagonisti e artefici della storia – sono destinati a crescere. Diventa così sempre più fondamentale, per noi tutti, imparare a vivere e a comportarci da cittadini “globali”, attivi e creativi, in grado di riconoscere quali siano le nostre rispettive responsabilità verso il prossimo millennio e di portarle a compimento. È essenziale che i normali cittadini sviluppino maggior saggezza ed energia e che rivolgano il loro impegno alla creazione di un futuro migliore. Le ONG svolgono un ruolo preziosissimo a questo riguardo, perché possono offrire alle persone una voce e delle mete da perseguire.
Abbiamo visto che negli ultimi anni alcune ONG sono state capaci di convogliare le energie dei cittadini non soltanto in quei settori che tradizionalmente le riguardano, come quello dei diritti umani o delle istanze umanitarie: hanno allargato il loro raggio d’azione fino a includere questioni che appartengono alla più ampia sfera della “sicurezza umana”. E si sono efficacemente attivate per la risoluzione di problemi collegati al tema della sicurezza e dell’uso delle armi, aree che tradizionalmente erano di esclusiva competenza dello stato.
Tra i risultati ottenuti va annoverato il Progetto di una Corte mondiale, che nel giugno 1997 ha ottenuto che la Corte internazionale di giustizia sottoponesse a revisione la legalità dell’uso di armi nucleari. E anche le iniziative intraprese dalla Campagna Internazionale per la messa al bando delle mine terrestri e da altre ONG. ha avuto notevole influenza nel processo che ha portato alla stesura e all’adozione della Convenzione per la messa al bando delle mine antiuomo del settembre 1997. Sono iniziative che danno fiducia e speranza a tutti coloro che amano la pace. E per continuare a costruire sullo slancio datoci da questi successi propongo che si dia avvio a una prossima battaglia, sempre su iniziativa popolare: la riduzione del numero – purtroppo in continua crescita – delle armi di piccolo calibro. Spesso sono proprio queste armi ad attizzare il fuoco di quei conflitti regionali che rappresentano la tragica eredità lasciata al mondo dalla Guerra Fredda. Bisogna prendere misure efficaci per impedirne la proliferazione. A questo proposito credo che abbiamo molto da imparare dalla lezione del Processo di Ottawa, che ha salvato il linguaggio della Convenzione sulle Mine Antiuomo da tutte quelle scappatoie e ambiguità che sono il risultato quasi inevitabile di un processo di stesura operante in base a un consenso unanime.
Insieme agli sforzi per ridurre e infine eliminare le armi che conducono alla distruzione di massa, occorre introdurre controlli sulle armi convenzionali usate per uccidere, mutilare e terrorizzare la gente durante i conflitti presenti in tutto il mondo: è un passo fondamentale verso la creazione di un ordinamento istituzionale per la pace. La risoluzione di problemi così scottanti non dovrebbe essere lasciata ai soli governi. Tutte le persone dovrebbero lottare attivamente contro ciò che minaccia la sopravvivenza dell’umanità e la dignità della vita umana, come ho ripetutamente dichiarato nel corso degli anni. I recenti risultati cui prima accennavo offrono la speranza che il mondo si stia effettivamente muovendo in questa direzione.
In Giappone la Soka Gakkai ha attivamente sostenuto il movimento mondiale di Abolition 2000, promosso dalla Fondazione per la pace in un’epoca nucleare e da altre ONG per ottenere l’impegno dei governi in favore dell’abolizione delle armi nucleari. Ispirati da un forte senso di responsabilità verso il futuro, i giovani della Soka Gakkai hanno indetto una campagna nazionale per la raccolta di firme a sostegno degli scopi di Abolition 2000.49
Il parere emesso dalla Corte internazionale di giustizia sulla legalità della minaccia o uso effettivo di armi nucleari esprime un concetto unanime: «Esiste l’obbligo di adoprarsi in buona fede affinché si concludano trattative e accordi volti al disarmo nucleare, in ogni forma e sotto lo stretto ed effettivo controllo internazionale».
Nonostante questo parere, dopo la conclusione del Trattato per l’Abolizione Totale dei Test Nucleari del settembre 1996 non è stato fatto alcun sostanziale progresso verso il disarmo nucleare. Dobbiamo sollevare l’opinione pubblica internazionale e sollecitare gli stati in possesso di armi nucleari ad avviare immediate trattative per un trattato per l’abolizione totale delle armi nucleari. Ci incoraggia il fatto che al Progetto per un tribunale mondiale, da cui è scaturito il parere emesso dalla Corte internazionale di giustizia, abbia fatto seguito la campagna di Abolition 2000, con il suo importante e ampio obbiettivo di totale abolizione di ogni forma di arma nucleare. Essa sollecita tutti gli stati dotati di armi nucleari a concludere entro il Duemila un trattato che preveda un preciso programma rivolto all’eliminazione totale di tali armi.
Sono da tempo convinto che non dovremmo permettere che il presente secolo si concluda senza aver risolto il problema delle armi nucleari, o perlomeno senza vedere l’inizio della sua risoluzione. Quelle armi sono state inventate in questo secolo, e rappresentano la più grande minaccia mai conosciuta alla sopravvivenza del genere umano. Sollecito vivamente tutti gli stati in possesso di armi nucleari a esprimere al mondo la loro volontà di porre fine all’era del nucleare entro questo secolo.
Una nuova società civile
Per costruire una società dove la gente possa condurre esistenze realmente umane – e non solo per por fine alla minaccia nucleare – è assolutamente necessario che noi costruiamo una nuova società civile che abbia radici nell’iniziativa popolare. Dobbiamo usare gli ultimi tre anni del ventesimo secolo per gettare concrete fondamenta per una futura nuova società globale, una civiltà che sia fatta “di gente, dalla gente e per la gente”. Sono già stati pianificati una serie di eventi che offrono l’opportunità di portare avanti questo impegno.
Innanzitutto deliberazioni come quella che avrà luogo a Ginevra quest’anno in preparazione della Conferenza Mondiale delle ONG (prevista per il 1999 in Giappone) produrranno proposte concrete per creare un forum che colleghi le ONG con l’Assemblea Generale delle U.N. Il “Forum Globale” che ho descritto nella mia proposta di pace dell’anno passato rappresenta un possibile modello.
Si terrà inoltre, nel 1999, la Terza conferenza di pace dell’Aia, con il patrocinio della Federazione mondiale delle associazioni delle Nazioni Unite, di cui anche la SGI è membro. Si prevede che in quella sede i rappresentanti delle ONG e di altre organizzazioni adotteranno un piano d’azione per un mondo senza guerra. La conferenza, che celebrerà il centenario della Conferenza di Pace dell’Aia del 1899, si avvicina molto a una proposta da me avanzata da diversi anni di tenere una conferenza per un mondo senza guerra. Ora propongo che questa Terza conferenza di pace dell’Aia faccia in modo di adottare una Dichiarazione per un mondo senza guerre, basata sulla sovranità del genere umano, e che questa dichiarazione preluda a un vero e proprio Patto per un mondo senza guerre.
E ancora, nell’anno Duemila si terrà l’Assemblea del nuovo millennio della gente, cui parteciperanno rappresentanti delle ONG e altri gruppi in rappresentanza dei cittadini del mondo. Tale Assemblea si svolgerà in corrispondenza con l’Assemblea del Millennio prevista alle Nazioni Unite. Nel suo documento Rinnovare le Nazioni Unite: un programma di riforma, il Segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan fa preciso riferimento proprio a questa Assemblea della Gente. Propongo che per quell’occasione si assicuri alle persone libertà di movimento – per esempio permettendone la partecipazione senza bisogno di visti – secondo il modello proposto dall’Area di libertà, sicurezza e giustizia che permetterà alle persone di muoversi liberamente all’interno dell’Unione Europea.
Sono convinto che nei tre anni che ci separano dalla fine del secolo saranno iniziative di questo genere, coraggiose e innovatrici, ad aprire un varco verso un futuro che vedrà la nascita di una nuova società civile globale.
L’anno scorso si sono svolti accesi dibattiti sulle condizioni dell’ambiente, un altro dei problemi globali. Al Forum Rio + 5 che si è tenuto in Brasile nel marzo 1997, promosso dalle ONG, il tema all’ordine del giorno era «Dai progetti all’azione», e lo slogan «Smettiamo di dire che “qualcuno dovrebbe”» ha dato il via a discussioni infervorate.
Condivido questo atteggiamento. Non dobbiamo mai dimenticare che soltanto l’impegno di cittadini responsabili e capaci, di quanti non aspettano che altri prendano l’iniziativa, potrà dar vita a un terzo millennio ispirato al rispetto della sacralità della vita, libero dalle guerre e dal nucleare, illuminato dal vivace arcobaleno delle diversità.
Mentre le sinistre nubi della Seconda Guerra Mondiale si avvicinavano, il romanziere cecoslovacco Karel Capeck (1890-1938) condannava frasi del tipo “qualcuno dovrebbe”, “le cose non sono così semplici”, come esempi di una povertà spirituale che si limita ad accettare passivamente lo status quo: «Se qualcuno sta affogando, non serve star fermi a riflettere che “qualcuno dovrebbe buttarsi a salvarlo”. La storia ha bisogno di persone che agiscono piuttosto che di persone che si limitano a parlare di ciò che altri dovrebbero fare. Quasi tutte le cose utili o importanti fatte negli ultimi mille anni non erano esattamente semplici. Se le persone si fossero convinte del fatto che niente si può fare soltanto perché “le cose non sono semplici”’ nel mondo non ci sarebbe quasi alcuna traccia dell’impegno umano»50. Dovremmo tener conto delle parole di ammonimento di Capek, perché riguardano la nostra stessa responsabilità. Ciò che ora serve di più è il coraggio di affrontare le realtà che abbiamo di fronte, e azioni precise che le trasformino. Noi tutti condividiamo la responsabilità del progresso futuro: passo dopo passo dobbiamo farci strada tra queste realtà che ci opprimono. Soltanto con un simile impegno possiamo impedire che si ripetano le angosciose tragedie che hanno devastato il presente secolo, e trasferire alle future generazioni i frutti dell’opera umana. Decidiamo di agire subito, fermamente convinti di essere cittadini del mondo, persone in grado di scrivere le pagine della storia futura. Decidiamo di adottare un atteggiamento di profondo ottimismo: quel genere di ottimismo che nessuna difficoltà e nessuna paura possono abbattere. I membri della SGI si impegnano in un movimento che, ispirandosi ai principi del Buddismo, promuove i valori della pace, della cultura e dell’educazione: così facendo continueremo a costruire una vasta rete di solidarietà tra le persone di buona volontà di tutto il mondo.
Infine, cerchiamo di coltivare la speranza che gli storici di quel lontano futuro previsto da Toynbee descriveranno gli ultimi anni del ventesimo secolo come il turning point della storia del genere umano, come il periodo in cui sono stati gettati i semi della futura e rigogliosa pacifica civiltà globale.
NOTE
1) Daisaku Ikeda, Pace e sicurezza umana: una prospettiva buddista per il XXI secolo, East-West Center, Honolulu, HI, 25 gennaio 1995
2) Isaiah Berlin, The Crooked Timber of Humanity – Chapters in the History of Ideas, New York, Alfred A. Knopf, 1991, p. 175
12) Arnold J. Toynbee, Civilization on Trial, New York, Oxford university Press, 1948, p. 213
13) Ibid., p. 214
14) Ibid., p. 214
15) Ibid., p. 215
16) Ibid., p. 215-216
17) Ibid., p. 216
48) Come discusso dall’autore nella Proposta di pace 1995
49) Sono state raccolte 13.016.586 firme tra il novembre 1997 e il 26 gennaio 1998
50) Karel Capek, Na brehu dnu, Prague, Ceskoslovensky Spisovatel, 1966
tratto da: Daisaku Ikeda “L’umanità e il nuovo millennio: dal caos al cosmo” Proposta di Pace 1998