Il discorso di Setsuko Thurlow al ricevimento del Nobel per la Pace

30/01/2018

Pubblichiamo il discorso di Setsuko Thurlow, hibakusha e figura leader della Campagna Internazionale per l’Abolizione delle armi Nucleari (ICAN), che ha vinto il Nobel per la Pace 2017, come diffuso dalla Fondazione Nobel.

Vostre Maestà,

Illustri membri del Comitato Norvegese per il Nobel,

Compagni attivisti, qui e in ogni parte del mondo,

Signore e Signori,

È per me un grande privilegio accettare questo premio, insieme a Beatrice, a nome di tutti gli straordinari esseri umani che compongono il movimento chiamato ICAN. Ognuno di voi mi dà l’incredibile speranza che possiamo mettere fine all’era delle armi nucleari – e che lo faremo.

Parlo a nome della famiglia delle e degli hibakusha – tutte le persone che, grazie a una fortuna prodigiosa, sono sopravvissute ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki. Per oltre settant’anni, abbiamo lavorato per la completa abolizione delle armi nucleari.

Siamo stati al fianco di tutti coloro che hanno subito i danni della produzione e dei test di queste orribili armi in tutto il mondo. Abitanti di luoghi i cui nomi sono stati presto dimenticati, come Mururoa, Ekker, Semipalatinsk, Maralinga, Bikini. Persone i cui mari e le cui terre sono state sottoposte a radiazioni, i corpi sono stati oggetto di esperimenti, le cui colture sono state distrutte per sempre.

Non ci siamo accontentati di essere delle vittime. Ci siamo rifiutati di restare ad aspettare la fine del mondo, che venisse incenerito in un secondo o lentamente avvelenato. Ci siamo rifiutati di restare immobili e terrorizzati mente le cosiddette grandi potenze ci portavano oltre il crepuscolo nucleare, sconsideratamente vicini alla mezzanotte. Abbiamo alzato la testa. Abbiamo condiviso le nostre storie di sopravvivenza. Abbiamo dichiarato che il genere umano e le armi nucleari non possono coesistere.

Oggi voglio che in questa sala sentiate la presenza di tutti coloro che sono morti a Hiroshima e Nagasaki. Voglio che sentiate, sopra di noi, intorno a noi, una grande nuvola di duecentocinquantamila anime. Ognuno di loro aveva un nome. Ognuno aveva qualcuno che lo amava. Assicuriamoci che non siano morti invano.

Avevo appena 13 anni quando gli Stati Uniti hanno fatto esplodere la prima bomba atomica sulla mia città, Hiroshima. Ricordo ancora chiaramente quella mattina. Alle 8:15 ho visto un lampo accecante bianco-azzurrognolo dalla finestra. Ricordo la sensazione di essere come sospesa in aria.

Mentre riprendevo conoscenza nel silenzio e nell’oscurità, mi sono vista seppellita sotto un edificio crollato. Ho iniziato a distinguere i flebili lamenti dei miei compagni di classe: “Madre, aiutami. Dio, aiutami.”

Poi, all’improvviso, ho sentito una mano che toccava la mia spalla e un uomo che diceva: “Non arrenderti! Continua a spingere! Sto cercando di liberarti. La vedi la luce che filtra da quel varco? Striscia verso di essa più veloce che puoi.” Mentre strisciavo verso la salvezza, le rovine erano in fiamme. La maggior parte dei miei compagni erano arsi vivi. Tutto intorno a me vedevo la più completa e inimmaginabile devastazione.

Un esercito di figure spettrali avanzava lentamente. C’erano feriti dall’aspetto grottesco, sanguinanti, ustionati, anneriti e gonfi. Avevano perso parti dei loro corpi. La carne e la pelle pendevano dalle loro ossa. Alcuni tenevano in mano i loro stessi occhi, altri avevano il ventre squarciato, con gli intestini che penzolavano. Il fetore della carne umana bruciata riempiva l’aria.

Fu così che la mia amata città venne annientata da una singola bomba. La maggior parte dei suoi abitanti erano civili che furono inceneriti, vaporizzati, carbonizzati – tra questi, i membri della mia stessa famiglia e 351 miei compagni di scuola.

Nelle settimane, mesi e anni seguenti, molte altre migliaia di persone morirono nei modi più disparati e misteriosi a causa degli effetti ritardati delle radiazioni. Ancora oggi, a distanza di tutto questo tempo, tali effetti sono potenzialmente letali per i sopravvissuti.

Quando penso a Hiroshima, la prima immagine che mi viene in mente è quella del mio nipotino di quattro anni Eiji, e il suo corpicino che si trasforma in un blocco di carne squagliata e irriconoscibile. Ha continuato a chiedere acqua con un filo di voce fino a quando la morte non lo ha liberato dall’agonia.

Eiji per me oggi rappresenta tutti i bambini innocenti del mondo, che in questo preciso momento vivono sotto la minaccia delle armi nucleari. Ogni istante di ogni giorno, le armi nucleari mettono a repentaglio la vita di tutti coloro che amiamo e tutto ciò a cui teniamo. Non possiamo tollerare oltre una simile follia.

Attraverso la nostra agonia e il nostro puro desiderio di sopravvivenza, di ricostruire le nostre vite dalle ceneri, noi hibakusha abbiamo compreso che la nostra missione è avvertire il mondo del pericolo di queste armi apocalittiche. Volta dopo volta, abbiamo condiviso le nostre testimonianze.

C’è però chi ancora si rifiuta di considerare quanto accaduto a Hiroshima e Nagasaki un’atrocità, un crimine di guerra. C’è chi ancora crede alla visione propagandistica delle “buone bombe” che hanno messo fine a una “guerra giusta”. Sono miti come questi che hanno portato a una disastrosa corsa agli armamenti – una corsa che continua ancora oggi.

Nove nazioni minacciano ancora oggi di incenerire intere città, distruggere la vita sulla terra, rendere il nostro bellissimo mondo inospitale per le generazioni future. Lo sviluppo di armi nucleari non rappresenta l’ascesa di un paese verso la grandezza, ma la sua discesa nei recessi più bui della depravazione. Queste armi non costituiscono un male necessario: esse rappresentano il male assoluto.

Il sette luglio di quest’anno sono stata sopraffatta dalla gioia quando la vasta maggioranza delle nazioni del mondo ha votato in favore dell’adozione del Trattato per la Messa al Bando delle Armi Nucleari. Avevo sperimentato in prima persona il lato più abominevole dell’umanità, e quel giorno ho visto il migliore. Noi hibakusha abbiamo atteso questo trattato per settantadue anni. Che questo sia l’inizio della fine delle armi nucleari!

Ogni capo di stato responsabile deve sottoscrivere questo trattato, e la storia giudicherà severamente quelli che lo respingeranno. Non è più tempo che questi leader tentino di mascherare con teorie astratte la realtà genocida delle loro prassi. È ora che la deterrenza venga vista per quello che è: un deterrente al disarmo. Non è più tempo per noi di vivere all’ombra di un fungo atomico di paura.

Alle autorità degli stati nucleari e ai loro complici che vivono sotto il cosiddetto “ombrello nucleare” io dico: ascoltate le nostre storie. Date retta ai nostri avvertimenti. Siate consapevoli che le vostre azioni hanno delle conseguenze. Ognuno di voi è un elemento costitutivo di un sistema di violenza che minaccia la sopravvivenza del genere umano. Che ognuno di noi stia in guardia dalla banalità del male.

Presidenti e primo ministri di ogni nazione del mondo, io vi imploro: sottoscrivete questo trattato. Sradicate per sempre la minaccia della distruzione nucleare.

Quanto avevo 13 anni, ed ero intrappolata sotto le macerie in fiamme della mia scuola, ho continuato a spingere. Ho continuato a muovermi per raggiungere la luce. E sono sopravvissuta. Oggi la nostra luce è il Trattato. A tutti i presenti in questa sala e a tutti coloro che ci stanno ascoltando nel mondo, io ripeto le parole che mi vennero dette tra le rovine di Hiroshima: “Non arrendetevi! Continuate a spingere! La vedete la luce? Strisciate verso di essa.”

Questa sera, quando marceremo per le vie di Oslo con le fiaccole accese, lasciate che ciascuno segua l’altro fuori dalla notte scura del terrore nucleare. Non importa quali ostacoli ci attendono, noi continueremo a muoverci e continueremo a spingere e continueremo a condividere questa luce con gli altri. Questa è la nostra passione e questo è il nostro impegno perché questo prezioso mondo, l’unico che abbiamo, possa continuare a esistere.