Quest’anno, il 2025, segna ottant’anni esatti da quando si sono verificati i tragici bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki.
Gli hibakusha, i sopravvissuti alle bombe atomiche e le generazioni a seguire, non hanno mai dimenticato quello scoppio fatale del 1945; da allora continuano a raccontare e tramandare le loro testimonianze con grande dedizione. Nel 2024 il contributo degli hibakusha è stato ulteriormente riconosciuto tramite il conferimento del premio Nobel per la pace alla confederazione delle organizzazioni giapponesi delle vittime delle bombe A e H (Nihon Hidankyō).
“per gli sforzi per raggiungere un mondo libero da armi nucleari e per dimostrare attraverso testimonianze dirette che le armi nucleari non devono mai più essere usate”.
Il loro instancabile impegno rappresenta un esempio concreto di lotta per il rispetto della dignità della vita.
Le armi nucleari sono una costante minaccia al diritto inviolabile all’esistenza, il loro possesso e utilizzo sono considerati atti illegali dalla legge internazionale grazie al Trattato per l‘abolizione delle armi nucleari (TPNW) entrato in vigore il 22 gennaio 2021.
L’invenzione di tali ordigni e la minaccia del loro uso, contrapposti alla presa di consapevolezza da parte della società civile che ha portato poi alla ratifica del TPNW, mettono in luce la complessità della natura umana.
Da una parte, l’istinto umano fa emergere il pensiero di annientare l’altro per raggiungere i propri scopi, dall’altra, la capacità di entrare in empatia con il prossimo permette di riconoscere e direzionare questi impulsi, creando le basi per una convivenza pacifica. Il fisico Albert Einstein si interrogò sul perché continui a verificarsi la guerra e decise di dialogarne insieme al padre della psicanalisi Sigmund Freud domandandogli cosa succedesse nell’intimo dell’animo umano per arrivare a tanta distruzione.
Riportiamo un estratto di questo carteggio che mette in evidenza le preoccupazioni dello scienziato nel 1932:
“Caro signor Freud,
La proposta, fattami dalla Società delle Nazioni e dal suo “Istituto internazionale di cooperazione intellettuale” di Parigi, di invitare una persona di mio gradimento a un franco scambio d’opinioni su un problema qualsiasi da me scelto, mi offre la gradita occasione di dialogare con Lei circa una domanda che appare, nella presente condizione del mondo, la più urgente fra tutte quelle che si pongono alla civiltà. La domanda è: C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra? È ormai risaputo che, col progredire della scienza moderna, rispondere a questa domanda è divenuto una questione di vita o di morte per la civiltà da noi conosciuta, eppure, nonostante tutta la buona volontà, nessun tentativo di soluzione è purtroppo approdato a qualcosa.”¹
Risposta di Freud:
“(…) Perché ci indigniamo tanto contro la guerra, Lei e io e tanti altri, perché non la prendiamo come una delle molte e penose calamità della vita? La guerra sembra conforme alla natura, pienamente giustificata biologicamente, in pratica assai poco evitabile. La risposta è: perché ogni uomo ha diritto alla propria vita, perché la guerra annienta vite umane piene di promesse, pone i singoli individui in condizioni che li disonorano, li costringe, contro la propria volontà, a uccidere altri individui, distrugge preziosi valori materiali, prodotto del lavoro umano, e altre cose ancora. (…) Quanto dovremo aspettare perché anche gli altri diventino pacifisti? Non si può dirlo, ma forse non è una speranza utopistica che l’influsso di due fattori – un atteggiamento più civile e il giustificato timore degli effetti di una guerra futura – ponga fine alle guerre in un prossimo avvenire. Per quali vie dirette o traverse non possiamo indovinarlo. Nel frattempo possiamo dirci: tutto ciò che promuove l’evoluzione civile lavora anche contro la guerra.”
Così, da questa riflessione sul perché della guerra, passiamo direttamente a un’altra domanda fondamentale, ovvero, che cos’è la pace?
Nel tempo molti filosofi e attivisti hanno provato a definire o a descrivere il termine pace. In tantissimi hanno intrapreso una riflessione accesa e profonda dando vita a lunghi dialoghi e giungendo poi alle più varie considerazioni.
Nel pensiero orientale, ad esempio nella filosofia Buddista, la pace è intesa come una condizione dell’essere da ricercare e manifestare, caratterizzata dal dinamismo e dal riequilibrio costante. Non possiamo definirla come semplice assenza di guerra, piuttosto come una fase in cui il potenziale della vita si manifesta in maniera creativa e non distruttiva.
L’umanità, ora come nel corso dei secoli, sta continuando a imparare che cos’è la pace e come si fa la pace.
Un grande raggio di speranza si accende ogni qualvolta nel mondo c’è una persona che non si arrende nel considerare lecita una guerra, la violenza, l’oppressione e la discriminazione.
Grazie a questa volontà sono nati nel mondo i Peace Studies, gli Studi per la Pace, un’area di studi interdisciplinare che si occupa della costruzione della pace.
In Italia tali questioni fondamentali vengono affrontate in ambito universitario con dei corsi di studi in Scienze per la pace.
Dal 2001 l’università di Pisa si è espressa attivamente a riguardo costituendo il primo corso di studi con laurea triennale e magistrale in “Scienze per la Pace: cooperazione internazionale e trasformazione dei conflitti”.²
Tale avvenimento ha determinato così un nuovo inizio di consapevolezza e ricerca nel panorama accademico italiano.
A seguito della pionieristica esperienza di Pisa, anche in altre università italiane come quella di Brescia o la Pontificia Università Lateranense si sono istituiti corsi di scienze per la pace. Inoltre, nel 2020 si è ufficialmente formata RUniPace³, la Rete delle università italiane per la pace.
Questa rete conta attualmente 75 atenei e promuove attività didattiche e di ricerca su diverse tematiche legate alle scienze per la pace (cooperazione internazionale, contrasto alle diseguaglianze e alla povertà, etc.).
L’obiettivo di questi studi è di offrire agli studenti una formazione interdisciplinare necessaria a comprendere il contributo delle Scienze alla gestione del conflitto e alla costituzione della pace stessa; oltre che alla promozione di un contesto socio-istituzionale in grado di ridurre i costi sociali legati al conflitto e di favorire il benessere.
Il corso di studi si propone di fornire strumenti adeguati a muoversi in realtà complesse, formando laureati e laureate in grado di progettare e collaborare a interventi negli ambiti della promozione della pace, della giustizia sociale e ambientale, del contrasto alla violenza e al terrorismo, della solidarietà sociale, dell’inclusione sociale, della mediazione, della risoluzione pacifica dei conflitti e della gestione delle emergenze.
Ma come mai si chiama Scienze “per” la pace e non “della” pace?
Il “per” racchiude in sé lo scopo stesso dell’intera istituzione, ovvero quello di contribuire, attraverso strumenti propositivi, al raggiungimento della pace.
L’idea è quella di formare giovani provenienti da tutto il mondo, accrescendo in loro l’empowerment necessario alla costruzione della pace, ovvero la conquista della consapevolezza di sé e del controllo sulle proprie scelte, decisioni e azioni, sia nell’ambito delle relazioni personali sia in quello della vita politica e sociale.
Uno degli elementi fondanti di questi percorsi di laurea è rappresentato dall’approccio interculturale alla trasformazione dei conflitti.
Si parla di “approccio” proprio perché, in questo delicato ambito, non esiste una “ricetta” da seguire. Al contrario, si cerca di far sviluppare agli studenti le competenze necessarie per poter utilizzare diversi elementi non violenti nella gestione e trasformazione dei conflitti.
Riflettendo sul termine conflitto troviamo dal latino conflictus -us «urto, scontro», termine intorno a cui “ruota” tutto questo ragionamento poi; ma che cos’è?
Il conflitto viene inteso come un’ espressione dell’essere non in armonia, originariamente non d’accordo con il tutto, appunto un qualcosa che si scontra, il quale raffigura un contrasto, una presenza di forze opposte in corso nelle parti e può anche arrivare scatenarsi in conflittualità fisica violenta con addirittura l’uso di armi.
Trasformare i conflitti rappresenta un’opportunità per costruire quei “ponti” interculturali verso una pace condivisa e un mondo in cui il conflitto possa essere affrontato senza violenza e possa portare incredibilmente a una costruzione invece che una distruzione.
Nella società attuale è sempre più essenziale che si diffonda una maggiore conoscenza degli strumenti pacifici per la risoluzione dei conflitti.
Per fortuna in Italia siamo davvero ricchi di riflessioni e di spunti importanti sulla pace positiva, come Don Milani, Aldo Capitini, Danilo Dolci, Maria Montessori e tanti altri.
Per pace positiva, secondo il matematico norvegese Johan Galtung (fondatore nel 1959 del Peace Research Institute Oslo (PRIO), nel 1964 del Journal of peace research e direttore della rete “Transcend International: A peace and development network” per la risoluzione dei conflitti) si intende la pace costruita con strumenti pacifici. Ovvero, frutto di giustizia, sviluppo sostenibile, solidarietà, corresponsabilità e cooperazione. In altre parole, la predisposizione per “fare bene” la pace!
Al contrario, la pace negativa significa assenza di guerra, l’intervallo tra una guerra e l’altra. Ciò alimenta il teorema che riduce la storia a una semplice alternanza di guerra e pace.
Pensando anche a tutte le storie di donne e uomini che hanno lottato e tutt’oggi stanno continuando per il rispetto, la tutela e la garanzia dei diritti umani o alla storica “battaglia” non violenta di Gandhi.
Tutte queste persone hanno subito della violenza fisica da parte delle autorità, perché la non violenza è contraria al potere, essa non si può istituzionalizzare. La pace non ha lo scopo di decidere chi ha torto o ragione, non ha diritto sanzionatorio ma di mediazione e relazione tra le parti. Lo scopo ultimo è il continuo riequilibrio di una convivenza armoniosa nel rispetto della dignità della vita e dei diritti umani.
Durante quest’anno, come redazione della campagna Senzatomica, approfondiremo il tema delle Scienze per la pace tramite una serie di articoli che raccontano la storia di figure di spicco di questi studi oltre che di alcuni esempi concreti della loro applicazione. In tal senso potremo, ancor più concretamente, mettere in pratica il nostro motto: Trasformare lo spirito umano per un mondo libero da armi nucleari.