Chi potrebbe mai fermare una guerra nucleare nell’era Trump? Questi scienziati.
21/11/2016
La comunità scientifica ha sempre lavorato dietro le quinte per impedire una catastrofe nucleare, a prescindere da chi detiene i codici di autenticazione.
di Audra J. Wolfe
14 novembre 2016
Audra J. Wolfe è una scrittrice, giornalista e storica che vive a Philadelphia. È autrice del libro “Competing with the Soviets: Science, Technology, and the State in Cold War America” (“Competere con i Sovietici: scienza, tecnologia e lo Stato nell’America della Guerra Fredda”).
Lo scorso marzo l’allora candidato alla presidenza, Donald Trump, scioccò gli esperti di politiche nucleari suggerendo, durante un’assemblea cittadina, che gli Stati Uniti avrebbero potuto ridurre le spese relative alla difesa nazionale incoraggiando i propri alleati, specialmente il Giappone e la Corea del Sud, a costruire armi nucleari. Spinto a chiarire tali affermazioni dal moderatore, Anderson Cooper della CNN, Trump ha replicato: “Non preferireste in un certo senso che il Giappone possieda armi nucleari, visto che la Corea del Nord le possiede?”. In precedenza, nella stessa settimana, Trump aveva dichiarato a Mark Halperin di Bloomberg che era importante restare “imprevedibili” quando si trattava di armi nucleari.
Sin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale – la sola occasione in cui le armi nucleari sono state utilizzate nel corso di un conflitto – la politica degli Stati Uniti è stata quella di scoraggiare la proliferazione nucleare, fosse tramite trattati di difesa, sanzioni economiche o il controllo internazionale delle vendite di uranio. Allo stesso modo, il concetto di deterrenza nucleare si basa su decisioni razionali e prevedibili sull’uso di armi nucleari. Le dichiarazioni di Trump hanno comprensibilmente scatenato il panico all’idea che un leader inesperto e dotato di scarsa familiarità con i principi fondamentali della sicurezza nucleare assuma il controllo delle armi atomiche. La paura di mettere nelle mani di Trump i “codici nucleari” è diventata una sorta di grido di battaglia per i suoi oppositori.
Nonostante ciò, gli americani terrorizzati da questa prospettiva dovrebbero tranquillizzarsi sapendo che, oltre al panico e alla preghiera, esiste un altro modo per limitare il rischio nucleare. Potrebbe essere infatti il momento di riesumare una strategia da Guerra Fredda per la limitazione del rischio nucleare: la comunicazione informale tra singoli scienziati.
Nel 1955, un anno dopo che il test di una bomba all’idrogeno condotto dagli Stati Uniti nell’atollo di Bikini aveva ricoperto il mondo con un sottile strato di ricaduta radioattiva, un gruppo di scienziati diffuse un manifesto contro lo sviluppo, la sperimentazione e l’uso di armi nucleari. Questa dichiarazione pubblica ispirò quella che divenne nota come la Conferenza di Pugwash, un movimento internazionale di scienziati a favore del disarmo nucleare. Verso la fine degli anni ‘50 e nei primi anni ‘60, all’apice dell’influenza del movimento Pugwash, un gruppo di scienziati provenienti dagli Stati Uniti, dal Regno Unito, dall’Unione Sovietica e da un pugno di altri stati privi di armi nucleari si incontrava regolarmente per discutere la natura della minaccia nucleare e i modi per ridurla.
Oggi come allora, gli esperti guardano al movimento Pugwash come a un modello di attivismo politico apartitico, un fulgido esempio di cosa gli scienziati potrebbero realizzare se non fossero costretti a lavorare entro i vincoli politica formale. Nel 1955 le Conferenze Pugwash e Joseph Rotblat, uno dei fondatori del movimento, ricevettero il Premio Nobel per la Pace per il ruolo svolto nella distensione nucleare proprio al culmine della Guerra Fredda.
Più di recente, l’amministrazione Obama si è rallegrata della relazione personale tra il Segretario dell’Energia statunitense Ernest Moniz e Ali Akbar Salehi, capo dell’Organizzazione Iraniana per l’Energia Atomica, indicandola come una delle componenti fondamentali dell’accordo nucleare con l’Iran. I due uomini condividevano la formazione in fisica e ingegneria, e avevano frequentato contemporaneamente il Massachusetts Institute of Technology negli anni ‘70. Nonostante Moniz e Salehi rappresentassero ovviamente i loro rispettivi paesi al tavolo dei negoziati, le loro basi tecniche comuni hanno fornito una piattaforma sulla quale costruire il consenso politico.
Sia durante che dopo la Guerra Fredda, il governo degli Stati Uniti ha promosso iniziative che permettevano agli scienziati internazionali di riunirsi al di fuori dei canali politici formali, sia sotto forma di conferenze accademiche sia tramite progetti di ricerca collettiva come l’Organizzazione europea per la ricerca nucleare (CERN). Al di là del nucleare, sono stati degli scienziati ad assistere in maniera informale i funzionari statunitensi che hanno negoziato trattati sui temi più svariati come il cambiamento climatico e i diritti di esplorazione in Antartide.
Questa strategia, nota come “diplomazia scientifica”, ha i suoi limiti. Gli scienziati non sono funzionari eletti, e non c’è nulla nella loro formazione scientifica che abbia lo scopo di prepararli alle sottigliezze dei negoziati politici internazionali. Le premesse della diplomazia scientifica rischiano di mettere il potere nelle mani di esperti tecnici i cui interessi personali possono o meno combaciare con quelli del proprio governo. Allo stesso tempo, non ci sono prove che il capo del governo americano appena eletto, Donald J. Trump, abbia la destrezza necessaria per negoziare una crisi nucleare.
Nel 1955 alcuni scienziati, tra cui Joseph Rotblat, sentirono il desiderio di sfruttare i propri rapporti interpersonali e le competenze scientifiche acquisite per evitare un’apocalisse nucleare. Per i capigruppo del Pugwash lo scopo di un movimento internazionale di scienziati non era tanto quello di sostituirsi ai negoziati ufficiali tra governi, quanto quello di mantenere un canale di comunicazione aperto nell’eventualità di una crisi. L’idea era che i privati cittadini potessero intrattenere le loro relazioni interpersonali anche qualora i rispettivi paesi avessero interrotto le relazioni formali, più o meno nella stessa maniera in cui le cene di gala bipartisan ungevano le ruote del governo di Washington.
Durante la crisi dei missili di Cuba del 1962, ad esempio, i membri americani del Comitato Pugwash inviarono un telegramma ai propri corrispondenti sovietici incoraggiandoli alla moderazione e promettendo loro che il gruppo americano avrebbe esercitato ogni influenza possibile, seppur limitata, sui funzionari del governo degli Stati Uniti al fine di sciogliere le tensioni. Gli scienziati riconoscevano il fatto che solo i capi di stato potevano risolvere la crisi, ma speravano che un piccolo cenno di presenza avrebbe fatto scattare nei leader politici la consapevolezza degli effetti di un attacco nucleare.
Che il Presidente eletto e i suoi consiglieri se ne rendano conto o meno, Trump avrà bisogno di competenze scientifiche. I suoi commenti in campagna elettorale fanno supporre che in qualità di Presidente si defilerà dall’accordo con l’Iran e chiuderà un occhio sulla proliferazione nucleare, tutto ciò facendo a gara con la Russia per l’ammodernamento degli arsenali nucleari. Rimane da vedere, naturalmente, quante di queste idee verranno riproposte dal governo Trump. In un caso di ordinaria amministrazione sarebbe scontato che Trump e i suoi consiglieri si consultassero con esperti di sicurezza per riuscire a fare i conti con la realtà delle questioni tecniche, a partire dalle tappe della proliferazione nucleare fino agli effetti che le armi nucleari moderne hanno sulle teorie della deterrenza. Tuttavia, la campagna elettorale di Trump si è svolta per alcuni versi contro ogni aspettativa, e la presidenza di Trump lascia diversi interrogativi aperti.
Se Trump dovesse decidere di non voler accettare consigli tecnici, i cittadini americani (e il mondo) potranno trovare conforto nel fatto che scienziati, specialisti in tema di sicurezza ed esperti di armi nucleari provenienti da molti paesi continueranno a parlarsi. Anche gli scienziati del Pugwash continueranno a incontrarsi, a stringere legami interpersonali e a sviluppare nuove conoscenze tecnico-scientifiche che trascendono i confini internazionali. La comunicazione informale tra scienziati internazionali offrirà sempre la speranza di impedire una catastrofe nucleare, indipendentemente da chi è seduto nello Studio Ovale.