Le nozioni di sicurezza hanno svolto un ruolo significativo nella ricerca sugli impatti e sull’adattamento al cambiamento climatico e sullo sviluppo di politiche a esso legate. Sono stati chiamati in causa diversi aspetti della sicurezza, tra cui la sicurezza alimentare e idrica, la sicurezza dei mezzi di sussistenza, la sicurezza ambientale, la sicurezza sanitaria, la sicurezza umana e la sicurezza nazionale e internazionale nel contesto dei conflitti derivanti dagli impatti dei cambiamenti climatici e dagli adattamenti ad essi, e così via. Tutti questi aspetti sono di natura essenzialmente fenomenica (tangibile, fisica) e il cambiamento climatico può minacciare seriamente le necessità materiali della vita e del benessere. Tuttavia, concentrarsi sull’aspetto fenomenico può farci trascurare gli elementi non-materiali della sicurezza delle persone, che per la maggior parte degli abitanti delle isole del Pacifico sono di estrema importanza.
Un buon punto di partenza per esplorare l’idea di sicurezza non materiale è il concetto di sicurezza ontologica. Questo termine è stato coniato dallo psicologo R. D. Laing nel 1960 in relazione alle difficoltà psicologiche delle persone e adottato tre decenni dopo dal sociologo Anthony Giddens in modo molto diverso per descrivere il senso di sicurezza di un individuo nella vita quotidiana nel contesto della tarda modernità. Tale idea sta diventando sempre più riconosciuta come utile per cogliere in modo olistico gli elementi materiali e non materiali della sicurezza umana, in particolare in relazione ai migranti e, in alcune occasioni, a coloro che sono vulnerabili al cambiamento climatico. In breve, la sicurezza ontologica è meglio incapsulata come sicurezza dell’essere dell’individuo. La certezza della propria esistenza. La fiducia nelle aspettative quotidiane di condizioni sociali, ambientali e spirituali che vengono rispettate, consentendo agli individui di gestire la vita giorno per giorno.
La sicurezza ontologica consente agli individui di fare affidamento sul fatto che le cose – le altre persone, gli oggetti, i luoghi, i significati – rimangano, in linea di massima, un domani, le stesse di ieri e di oggi. In termini di ambiente, garantisce un luogo sicuro che protegge dall’incertezza e al quale si può tornare senza preoccupazioni. Come suggerisce Giddens, si riferisce a un sentimento di continuità nella propria vita basato su un senso di appartenenza e di fiducia nella propria identità. Dalla prospettiva del Pacifico, la sicurezza ontologica comprende elementi materiali come lo spazio, il suolo, le piante, gli animali, i raccolti, la terra, l’oceano, la salute e la sicurezza; aspetti sociali come la parentela, la comunità, la leadership e la reciprocità; e fattori culturali come il luogo, l’identità, la nascita, la morte, l’appartenenza, la gestione, il passato e il futuro. Se manca una delle tre componenti – materiale, culturale o sociale – la sicurezza ontologica può essere compromessa.
Nella nostra considerazione del significato di abitabilità sugli atolli, giungiamo alla conclusione che le definizioni basate sui “sistemi di supporto vitale” materiali, come quelle utilizzate negli approcci scientifici e politici contemporanei all’adattamento nelle isole del Pacifico, sono inadeguate. Il concetto di sicurezza dell’essere, tuttavia, è una componente di cruciale importanza per l’abitabilità degli atolli e di altre isole del Pacifico. D’altra parte, è molto di più di quanto sia racchiuso nella sicurezza ontologica, una nozione elaborata in un contesto occidentale e incentrata sul senso di sicurezza degli individui.
La visione del mondo della maggioranza degli abitanti delle isole del Pacifico è di tipo fortemente relazionale, in cui tutti gli elementi sono connessi. Allo stesso modo, le persone non possono essere separate dai loro ambienti, gli individui dalle loro comunità, i gruppi familiari e la vita quotidiana dalla dimensione spirituale.
Due concetti chiave che illustrano questa ontologia relazionale sono quello di banua (incluso quello di fenua, vanua, ecc.) e vā (un concetto di spazio che non crea distinzione fra i luoghi ma può anche essere considerato lo spazio in mezzo). Questi aspetti relazionali non sono un elemento ontologico della sicurezza ontologica. La sicurezza ontologica, la sicurezza dell’esistenza di ciascun individuo, non può tuttavia esistere, nel Pacifico, in assenza di banua e vā, e della relazione dell’individuo con essi. L’importanza delle relazioni familiari e di comunità, la connessione al banua e le connessioni spaziali nel Pacifico risultano agli antipodi dell’attenzione sull’individuo alla base del concetto di sicurezza ontologica. Non viene negata l’importanza dei singoli individui ma si cerca di situarli in un contesto molto più ampio. Questo è spiegato dallo scomparso antropologo fijiano Asesela Ravuvu nella sua descrizione del vanua di un villaggio delle Fiji:
La gente di Nakorosule non può esistere al di fuori dell’incarnazione fisica della propria terra, dalla quale dipende la sopravvivenza dell’individuo e del gruppo … la terra in questo senso è un’estensione di sé; viceversa, le persone sono un’estensione della terra.
Di conseguenza, nonostante l’idea della sicurezza del singolo resti molto importante, essa è fortemente connessa al gruppo, alla terra (e ai relativi ecosistemi terrestri, biologici, atmosferici e marini) e alla dimensione spirituale. Ed è qui che dal nostro punto di vista la sicurezza ontologica delle popolazioni del Pacifico si allontana dallo stesso concetto nel mondo occidentale. Considerata l’assoluta rilevanza della relazionalità nella vita delle isole del Pacifico, suggeriamo che il termine sicurezza relazionale possa essere indicato per distinguere il concetto della sicurezza dell’essere in questi luoghi dalle caratteristiche più individualistiche e occidentali della sicurezza ontologica.
Data l’importanza della sicurezza relazionale nelle vite degli abitanti del Pacifico, il cambiamento climatico può effettivamente essere considerato una minaccia estremamente seria. Se la sicurezza relazionale non verrà presa in considerazione nel delineare politiche e pratiche di adattamento, emergeranno numerosi rischi che metteranno a repentaglio le vite. Sarà soltanto dando un ruolo centrale nei processi decisionali di adattamento alle voci delle persone colpite dal cambiamento climatico che riusciremo a scongiurare tali rischi. Il trasferimento di intere comunità da luoghi riconosciuti come più difficilmente abitabili o inabitabili viene sempre più promosso come un processo di adattamento “razionale” al cambiamento climatico. Un simile spostamento, tuttavia, potrebbe compromettere la sicurezza relazionale di queste comunità, legata al proprio luogo di origine. Privi di sicurezza relazionale, i luoghi nuovi potrebbero essere visti come luoghi di incertezza e pericolo, dunque inabitabili, nonostante abbiano tutte le caratteristiche concrete della sicurezza in un contesto di cambiamento climatico. La sfida per chi si occupa di processi decisionali, pianificazione e pratica politica è di allargare il concetto di sicurezza oltre la visione occidentale predominante fino a includere la dimensione relazionale che è al centro della visione del mondo della gente del Pacifico e rafforza la loro comprensione della nozione di sicurezza. Ciò può essere realizzato unicamente attraverso il coinvolgimento efficace delle comunità locali nei processi decisionali sull’adattamento.
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Usiamo qui il termine austronesiano banua in luogo di parole specifiche come i termini più specificatamente polinesiani come fanua, fenua, honua, vanua e whenua. Tradizionalmente tradotti in italiano con “terra”, indicano un concetto espressamente relazionale che include la terra, l’ambiente, le persone in quanto individui e la dimensione spirituale in un tutto interconnesso.
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Gli autori
John R. Campbell si occupa di ricerca sulle questioni legate alla popolazione e all’ambiente nei Paesi delle isole del Pacifico fin dagli anni Settanta. Attualmente si occupa della dimensione umana dell’adattamento al cambiamento climatico e della riduzione del rischio di catastrofi, compresa la migrazione ambientale.
Carol Farbotko è una geografa culturale con interessi di ricerca sulla mobilità climatica (mobilità umana associata al cambiamento climatico, n.d.t.) e sulla politica del rischio climatico, con particolare attenzione alla regione insulare del Pacifico. È Australian Research Council Future Fellow presso la Griffith University.
Traduzione a cura del Comitato Senzatomica dell’articolo “Habitability and Relational Security” (https://toda.org/global-outlook/global-outlook/2023/habitability-and-relational-security.html) per gentile concessione del Toda Peace Institute.