Gorbachev e la politica di disarmo dell’URSS

22/01/2014

Pubblichiamo la news n.1 – gennaio 2014 di Archivio Disarmo riguardante la pubblicazione del paper di Roberta Daveri dal titolo “Gorbachev e la politica di disarmo dell’URSS”.

Nel 1985 Mikhail Gorbachev divenne segretario generale del PCUS, acquisendo l’effettivo controllo dell’Unione Sovietica e anche dei Paesi nell’orbita socialista. Gorbachev si rese subito conto della necessità di una profonda modifica nei rapporti internazionali con i Paesi occidentali al fine di avviare un comune programma di pace e  sviluppo. In questa prospettiva, egli si fece promotore di diverse proposte riguardanti il disarmo nucleare, accolte però in maniera altalenante dalla controparte occidentale. Grazie alle inedite aperture dell’era Gorbachev riguardo il dossier nucleare, ad ogni modo, poterono infine essere conclusi accordi in materia tra le due Superpotenze (INF, CFE, START I), da considerarsi una vera e propria vittoria nei confronti della dottrina della corsa agli armamenti governante fino ad allora i rapporti tra i due blocchi.

Capitolo I: La svolta strategica di Gorbachev

L’11 marzo 1985 Mikhail Gorbachev divenne segretario generale del PCUS, dopo la morte, a distanza di un anno l’uno dall’altro, dei precedenti segretari generali (Leonid Brezhnev, Yuri Andropov e Konstantin Chernenkov), acquisendo l’effettivo controllo dell’Unione Sovietica e anche dei Paesi nell’orbita socialista. Nei sei anni in cui rimase al potere, Gorbachev introdusse cambiamenti epocali, che rivoluzionarono la geografia politica del mondo,
favorendo il cammino in Russia ed in Europa orientale verso la liberazione dai regimi comunisti e la liquidazione della guerra fredda. Fu infine insignito del premio Nobel per la pace nel 1990.1

Nel suo sforzo di rinnovamento (“perestroika”) della Russia, Gorbachev si rese subito conto della necessità di una profonda modifica nei rapporti internazionali: occorreva effettuare un passaggio definitivo da un atteggiamento di
coesistenza (se non di contrapposizione) con i Paesi occidentali ad uno di collaborazione per un comune programma di pace e sviluppo. In questa prospettiva, Gorbachev stupì il mondo, e il suo stesso Paese, quando il 15 gennaio 1986 lanciò l’audace proposta di un programma concreto per l’abolizione delle armi nucleari entro il 2000, articolato in tre fasi:

1. USA e URSS dimezzano il numero delle armi nucleari in grado di raggiungere il territorio dell’altro Paese e  adottano un accordo per liberare l’Europa dai missili a medio raggio; Francia e Gran Bretagna si impegnano a non
accrescere i loro arsenali;

2. a) le altre Potenze nucleari si uniscono al processo; USA e URSS, eliminando tutte le forze nucleari a medio raggio e congelando i sistemi tattici; b) dopo che USA e URSS hanno dimezzato i loro armamenti, tutte le Potenze
nucleari eliminano le loro armi tattiche; i test nucleari cessano ovunque;

3. eliminazione di tutte le armi nucleari entro la fine del 1999, con un accordo universale per il bando definitivo delle armi atomiche, con speciali procedure per la distruzione dei vettori; creazione di un sistema internazionale di stretta
verifica del rispetto del disarmo e della non produzione di nuove armi nucleari.

La proposta venne accolta entusiasticamente da Ronald Reagan e dal Segretario di Stato George Shultz, ma trovò immediata resistenza nel resto dell’amministrazione presidenziale USA, in particolare da parte di Richard Perle e
dal Segretario alla Difesa Caspar Weinberger. Gli americani giunsero così all’incontro di Reykjavik (11-12 ottobre 1986) impreparati a condurre seri negoziati sulle armi nucleari. Reagan e Gorbachev, tuttavia, concordarono che “una guerra nucleare non poteva essere vinta e pertanto non doveva mai essere combattuta”2; sebbene poi, proseguendo nei colloqui, Reagan avesse accettato la proposta di una totale eliminazione delle armi nucleari, il presidente americano aveva comunque continuato a voler portare avanti lo sviluppo del programma Strategic Defense Initiative3 anche oltre la fase di ricerca, unica fase ammessa dal Trattato ABM4 del 1972.

L’importanza del “quasi accordo” non venne percepita al momento, mentre i tradizionali fautori della stabilità attraverso la deterrenza (i capi di Stato Maggiore USA, i repubblicani conservatori americani, nonché, in Europa,
Margaret Thatcher) si mobilitarono immediatamente per prevenire il rischio che una proposta così lungimirante potesse giungere neanche ad un livello declaratorio. Reykjavik ruppe comunque la logica e il linguaggio del confronto nucleare fra USA e URSS e aprì la via a una serie di accordi senza precedenti, che realizzarono in parte il primo degli obiettivi proposti da Gorbachev: il Trattato INF dell’8 dicembre 1987 per la distruzione dei missili balistici e cruise con base a terra e con raggio d’azione fra 500 e 5500 km; il trattato CFE5 del 19 novembre 1990 per la riduzione delle forze armate convenzionali in Europa; e, soprattutto, il trattato START I6 del 31 luglio 1991, per riduzioni significative delle armi nucleari strategiche americane e russe, con sistemi rigorosi di verifica della distruzione dei vettori e delle testate. Gorbachev, inoltre, si impegnò per il raggiungimento del disarmo delle armi chimiche (Convenzione di Parigi, 13 gennaio 1993) e per il bando dei test nucleari e convinse la Corea del Nord ad aderire al Trattato di non proliferazione nucleare7 (dicembre 1985).

 

Capitolo II: I trattati sul disarmo dell’era Gorbachev

2.1. Intermediate Range Nuclear Forces (INF)

Il disarmo nucleare, compreso lo stazionamento delle Intermediate Range Nuclear Forces (INF) in Europa  occidentale, era, come ricordato, in quegli anni la questione più urgente della guerra fredda. Colloqui formali INF erano già iniziati nel settembre 1981 tra Stati Uniti e URSS in base alla proposta americana dell’“opzione zero”, ossia l’eliminazione completa sia di tutti i Pershing e Cruise occidentali, sia di tutti i sovietici SS-20, SS-4 e SS-5. Nel 1983 e nel 1984, tuttavia, gli Stati Uniti avevano schierato sistemi INF in Europa occidentale. Anche in “reazione” a ciò, nel luglio 1985 Gorbachev annunciò una moratoria unilaterale sui test di armi nucleari ed il 1° gennaio 1986 una proposta per la messa al bando di tutte le armi nucleari entro il 2000, ivi compresi i missili INF in Europa, proposta allora respinta dagli USA. Nel marzo 1986 i negoziati tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica finalmente poterono riprendere, non solo riguardo la questione INF, ma anche con colloqui separati per la riduzione degli arsenali nucleari strategici (START) e per la risoluzione dei problemi dell’uso militare dello spazio extra-atmosferico.

Sin dalla proposta di Ronald Reagan di rilanciare la “doppia decisione” del 1979 come una idea sua (utilizzando propagandisticamente lo slogan dei pacifisti europei “opzione zero” per dichiarare che lo smantellamento degli SS-20 sovietici avrebbe prodotto il ritiro dei Pershing e dei Cruise), si iniziò una negoziazione semipubblica a Ginevra condotta dai diplomatici di elevato rango Paul Nitze e Yuli Kvitsinsky. Nello scetticismo generale (l’uno veniva dal brain trust del primo McNamara, quello dei “falchi” della Rand corporation; l’altro era uno dei più ligi ambasciatori di scuola Gromiko, avvezzo alle chiusure di “Mr. Nyet”), sotto l’immaginifica etichetta giornalistica della “passeggiata nei boschi” (circostanti il lago Lemano) emerse a sorpresa che i due negoziatori avevano elaborato una proposta “zero più x”, che lasciava i Pershing-Cruise al livello numerico già conseguito in quel momento (non era ancora stata completata la piena dislocazione, ma si era a poco meno di metà) e tollerava la presenza di un numero di SS-20 ad essi pari, riducendo la richiesta occidentale di ritiro al solo loro surplus rispetto a quel livello.

La proposta, evidentemente negoziata al di fuori degli incontri ufficiali e delle stesse sedi in cui si svolgevano per non far filtrare la notizia prematuramente alle fazioni belliciste delle rispettive dirigenze, fu però respinta da  ambedue le capitali, che nella battaglia per guadagnare il consenso delle opinioni pubbliche interne ed europee avevano dispiegato troppo fuoco di sbarramento mediatico per tollerare risultati minori del successo pieno. I  delegati furono richiamati e non vi furono più negoziati, fino al completamento del programma di dispiegamento occidentale: verificata l’inefficacia del disegno intimidatorio dell’Europa occidentale (la cosiddetta “finlandizzazione” paventata da Schmidt), la nuova dirigenza sovietica di Gorbachev perse interesse a mantenere alto il livello della contesa ed addivenne al compromesso su basi diverse e più ampie rispetto al tentativo ginevrino.

Dopo una serie di incontri tra Reagan e Gorbachev tra agosto e settembre 1986, culminati nel vertice di Reykjavik di ottobre 1986, entrambi i leaders convennero in linea di principio per la rimozione dei sistemi INF dall’Europa. Gorbachev propose anche cambiamenti più profondi e fondamentali nel rapporto strategico. Negoziati più dettagliati si protrassero per tutto il 1987 ed il testo dell’accordo finale INF fu concordato e sottoscritto durante il vertice di Washington (8  dicembre 1987). Nel frattempo, il terreno era stato preparato per la riduzione delle forze nucleari strategiche e  convenzionali in Europa.8

Il trattato INF ha un valore fondamentale, in quanto segnò un punto di svolta nel processo negoziale legato al controllo degli armamenti tra le due superpotenze. Per la prima volta, infatti, i sistemi d’arma oggetto del negoziato non venivano ridotti o ritirati, ma effettivamente eliminati. In secondo luogo, l’URSS accettò una serie di regole e clausole che non aveva mai precedentemente accettato, in primis un rigido sistema di ispezioni internazionali sul proprio territorio.

In parte questa approvazione fu, sì, dovuta alla pressione generata dal deterioramento della situazione nel Patto di Varsavia, ma in parte fu anche spinta dalla grande scommessa politica di Gorbachev, culturalmente molto influenzato dalle posizioni più innovative presenti nei settori più avanzati delle grandi socialdemocrazie europee, alle quali voleva “agganciare” l’URSS, come parte di un sofisticato progetto politico teso a farla rientrare nel gioco politico mondiale dal quale il bipolarismo l’aveva progressivamente emarginata.9

2.2. Treaty on Conventional Armed Forces in Europe (CFE)

Il trattato per la riduzione e la limitazione delle forze armate convenzionali in Europa o CFE (Treaty on Conventional Armed Forces in Europe) è un accordo firmato a Parigi il 19 novembre 1990 dai 22 Paesi membri della NATO e dai Paesi membri dell’ex-Patto di Varsavia. Esso stabilisce un accordo di sostanziale equilibrio fra armi convenzionali e armamenti tra Paesi dell’est e Paesi dell’ovest europeo. La versione originaria del trattato CFE (di durata illimitata) entrò in vigore nel 1992. In seguito al dissolvimento del Patto di Varsavia e all’allargamento della NATO negli anni Novanta, i 30 stati firmarono il cosiddetto Adaptation Agreement in occasione del summit dell’OSCE tenutosi ad Istanbul il 19 novembre 1999.

La versione originaria del trattato CFE stabiliva dei limiti riguardanti le armi convenzionali necessarie per condurre attacchi di sorpresa o per effettuare operazioni offensive di larga scala; i limiti riguardano tutta l’area chiamata ATTU, acronimo di Atlantic-to-the-Urals (dall’Atlantico agli Urali). Gli armamenti sottoposti a limitazione  comprendono: carri armati, veicoli corazzati, pezzi di artiglieria, aerei da guerra (esclusi i mezzi aerei navali) ed elicotteri da attacco. Oltre a limitazioni sul numero di mezzi, per ogni tipologia il trattato stabilisce sia dei limiti di dislocamento “centrale” dei mezzi (per evitare concentrazioni di forze destabilizzanti sul territorio europeo) sia dei limiti di dislocamento ai confini dell’area ATTU (il cosiddetto Flank Agreement del maggio 1996). Mentre la versione originaria del trattato CFE stabiliva un tetto al quantitativo di armamenti posseduto da ogni Stato, la nuova versione (Adapted Treaty) stabilisce dei limiti per quanto riguarda le armi presenti sul territorio di ogni Stato. Il trattato prevede e regolamenta, inoltre, i meccanismi di accesso per eventuali nuovi Stati, regimi di controllo e trasparenza e obbliga i firmatari ad onorare gli impegni pendenti.10

Colloqui informali tra 16 Paesi NATO e 7 del Patto di Varsavia iniziarono a Vienna il 17 febbraio 1987 con mandato per la negoziazione di un trattato sulle armi convenzionali in Europa.11 Alcuni mesi più tardi, il 27 giugno, la NATO propose un progetto di mandato durante la conferenza di 23 Stati. Nella proposta si richiedeva l’eliminazione delle disparità di forze, di capacità di attacco a sorpresa, delle operazioni offensive su larga scala e dell’istituzione di un sistema di verifica efficace. Durante il vertice di maggio – giugno 1988 a Mosca, il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan e il Segretario Generale Gorbachev avevano congiuntamente sottolineato l’importanza della stabilità e della sicurezza in Europa, in  particolare facendo la richiesta l’un l’altro di scambio di dati, verifica e quindi riduzioni riguardanti le armi dislocate in Europa. Nel mese di dicembre Gorbachev annunciò alle Nazioni Unite un ritiro unilaterale di 50.000 soldati dall’Europa orientale e la smobilitazione di 500.000 truppe sovietiche. Nel gennaio 1989, i membri della NATO e del Patto di Varsavia produssero il Mandato per il Negoziato sulle Forze Armate Convenzionali in Europa, dove venivano fissati gli obiettivi per il Trattato CFE e stabiliti i principi negoziali per i negoziati formali iniziati il 9 marzo 1989 a Vienna.

Nel maggio di quello stesso anno, George H.W. Bush annunciò l’accettazione della riduzioni di aerei da combattimento ed elicotteri sul suolo europeo. Egli propose anche un massimale di 275.000 uomini di stanza in Europa proveniente dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica. La proposta di Bush venne formalmente adottata nel corso del vertice di Bruxelles della NATO nel 1989 e successivamente presentata a Vienna. Nel mese di novembre cadde il Muro di Berlino e nei mesi successivi la rivoluzioni scoppiò in Ungheria, Cecoslovacchia, Romania e Bulgaria. Bush senior e Gorbachev decisero quindi di accelerare ulteriormente i negoziati sul controllo degli  armamenti.

2.3. START I

Il trattato START (Strategic Arms Reduction Treaty) venne siglato il 31 luglio 1991 da Stati Uniti e Unione Sovietica e fu rinominato START I alla stipula del suo successore START II. Il trattato prevedeva limiti al numero di armi di cui ogni parte poteva dotarsi. L’Unione Sovietica collassò cinque mesi dopo la sua stipula, perciò il trattato rimase in vigore con Russia, Bielorussia, Kazakhstan e Ucraina. Questi ultimi tre Paesi hanno da allora azzerato completamente il loro potenziale offensivo nucleare12.

Il trattato impegnava i firmatari al dispiegamento di non più di 6.000 testate nucleari, di cui al massimo 1.600 tra ICBM, missili balistici lanciati da sottomarini e da bombardieri. Il negoziato START fu il più grande e complesso trattato di controllo degli armamenti della storia e la sua attuazione definitiva alla fine del 2001 ha portato alla rimozione di circa l’80% di tutte le armi nucleari strategiche esistenti. La proposta dello START venne presentata dal presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan a Ginevra il 29 giugno 1982. Reagan propose una drastica riduzione delle forze strategiche in due fasi, tanto che al momento venne
interpretato come un SALT III.13 La prima fase avrebbe ridotto il totale delle testate montate su qualsiasi tipo di missile a 5.000, con al massimo 2.500 ICBM. Era consentito, inoltre, di detenere al massimo 850 missili balistici intercontinentali di cui 110 missili a lunga gittata come gli SS-18. La seconda fase negoziale introdusse limiti simili sui bombardieri e le loro testate.

L’avvio delle negoziazioni venne ritardato più volte a causa di termini dell’accordo che sia gli Stati Uniti sia i governanti sovietici pre-Gorbachev consideravano non negoziabili. In più, l’annuncio dell’avviamento da parte del presidente Reagan del programma Strategic Defense Initiative nel 1983 venne visto come una minaccia da parte dell’Unione Sovietica e i sovietici si rifiutarono di fissare un calendario per ulteriori negoziati. A causa di questi fatti, una drammatica corsa agli armamenti nucleari è proceduta per tutto il corso degli anni. Ottanta (sostanzialmente si è conclusa solo nel 1991), volta primariamente a preservare la parità nucleare tra i due blocchi ad almeno un livello di più di diecimila testate strategiche su entrambi i fronti.

Capitolo 3: Conclusioni

Nonostante le differenze, sia Gorbachev sia Reagan prima e Bush senior poi, erano convinti che i Paesi civilizzati non dovessero considerare le armi nucleari il fulcro della loro sicurezza. Anche se non riuscirono a concretizzare le
loro più alte aspirazioni disarmiste già a Reykjavik, il vertice fu comunque, un importante punto di svolta nella ricerca di un mondo più sicuro. I critici vedevano un eventuale disarmo nucleare, nel migliore dei casi come  qualcosa di irreale, nel peggiore come un’utopia pericolosa. A tale proposito, essi facevano riferimento al “lungo periodo di pace” dalla guerra fredda come a una prova efficace del fatto che la forza deterrente del nucleare fosse l’unico mezzo per prevenire un grave conflitto.

Gorbachev aveva da subito espresso il suo dissenso rispetto a tali affermazioni. In qualità di deterrente, il nucleare è sempre stato un garante ambivalente della pace: questo in quanto, non riuscendo a presentare un piano convincente per il disarmo nucleare, gli USA, l’URSS e le rimanenti potenze nucleari promuovevano, a causa della loro inazione, un futuro in cui le armi nucleari sarebbero state inevitabilmente utilizzate. Una simile catastrofe doveva, dunque, essere prevenuta. In accordo con gli stessi George P. Shultz, William J. Perry, Henry A. Kissinger, Sam Nunn, per Gorbachev la deterrenza del nucleare diventava meno affidabile e più rischiosa con l’aumento dei Paesi in possesso di tali armi. Escludendo una guerra preventiva (che si è dimostrata controproducente) o  l’applicazione di sanzioni efficaci (che si sono comunque rivelate insufficienti), solo dei passi reali verso il disarmo nucleare potevano assicurare la sicurezza reciproca necessaria per arrivare a seri compromessi sulle questioni legate al controllo e alla non proliferazione delle armi.

La fiducia e la comprensione raggiunta a Reykjavik avevano, come ricordato, aperto la strada a due trattati storici sul nucleare. Il trattato INF del 1987, che stabilì la distruzione delle testate nucleari che al tempo minacciavano la pace in Europa, e il trattato START I del 1991, per la riduzione dell’80% gli arsenali nucleari statunitensi e sovietici nel giro di dieci anni. Ma le prospettive del progresso sul controllo e la non proliferazione delle armi atomiche rischiavano di sbiadire in assenza di una ulteriore spinta credibile per il disarmo nucleare. Legando assieme una gamma di questioni correlate, Gorbachev e Reagan hanno
creato la fiducia e la comprensione necessaria per moderare una corsa alle armi nucleari della quale rischiavano di perdere definitivamente il controllo. Il vertice di Reykjavik aveva confermato che il coraggio viene ricompensato. Le condizioni iniziali per un accordo sul disarmo nel 1986 erano tutt’altro che favorevoli. Prima che Gorbachev diventasse leader dell’Unione Sovietica nel 1985, le relazioni tra la superpotenze della Guerra Fredda avevano toccato il fondo. Ciò nonostante, Gorbachev e Reagan erano riusciti a creare approccio politico costruttivo grazie alla loro apertura costante ed ad un confronto faccia a faccia produttivo.14

Allegati

Arsemali nucleari ISA/URSS-Russia 1945-2002: http://www.nrdc.org/nuclear/nudb/dafig9.asp
Testate nucleari USA/URSS-Russia 1980-2002: http://www.nrdc.org/nuclear/nudb/datab9.asp, http://www.nrdc.org/nuclear/nudb/datab10.asp

1G. P. Shultz, W.J. Perry, H.A. Kissinger, S. Nunn, A World Free of Nuclear Weapons, the Wall Street Journal, January 4, 2007.M.  Gorbachev, The Nuclear Threat, the Wall Street Journal, January 31, 2007. R. Rhodes, Arsenals of Folly: The Making of the Nuclear Arms Race, Knopf, New York, 2007. B. Larkin, Designing Denuclearization: An Interpretive Encyclopedia, Transaction, New Brunswick, 2008.
2G.2 http://www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/Gorbaciov-e-quellidea-di-un-mondo-senza-arminucleari
3 Per un maggiore approfondimento in materia, si rimanda a: http://www.archiviodisarmo.it/siti/sito_archiviodisarmo/upload/documenti/34392_DAVERI_-_Sfuggire_alla_deterrenza_nucleare_ott._2013.pdf
4 Il Trattato Anti Missili Balistici, conosciuto anche come Trattato ABM, venne firmato da USA ed URSS il 26 maggio 1972 ed entrò in vigore il 3 ottobre dello stesso anno. Il suo scopo era limitare le possibilità di difesa antimissile delle due parti, in modo da frenare la proliferazione delle armi nucleari offensive. In questo senso, il Trattato fa parte della strategia delle relazioni tra Washington e Mosca durante la guerra fredda che prevedeva una parità strategica basata sulla dottrina della mutua distruzione assicurata. In base al Trattato anti-missile balistico, ciascuna delle parti aveva la possibilità di installare un solo sistema antimissile fisso di 100 missili da collocare o
nella capitale o in un campo di missili ICBM. Inoltre, era esplicitamente vietato sviluppare un sistema antimissile in grado di coprire tutto il territorio nazionale. Altre clausole facevano sì che la capacità di ognuna delle parti di difendersi da un massiccio attacco nucleare strategico venisse fortemente limitata. L’effetto era che, anche se avesse optato per il cosiddetto “primo colpo”, la Potenza attaccante sarebbe rimasta praticamente in balia della risposta massiccia (considerata inevitabile) dell’avversario, subendone terribili distruzioni.
5 Il Trattato per la riduzione e la limitazione delle forze armate convenzionali in Europa chiamato anche Trattato CFE (Treaty on  Conventional Armed Forces in Europe oppure CFE Treaty) è un accordo firmato a Parigi il 19 novembre 1990 dai 22 paesi membri della NATO e dai paesi membri dell’ex-Patto di Varsavia e stabilisce un accordo di sostanziale equilibrio fra armi convenzionali e armamenti tra paesi dell’est e paesi dell’ovest europeo.
6 Il trattato START è stato siglato il 31 luglio 1991 tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Venne rinominato START I alla stipula del suo  successore START II. Il trattato prevedeva limiti al numero di armi di cui ogni fazione poteva dotarsi. L’Unione Sovietica collassò cinque mesi dopo la sua stipula, perciò il trattato rimane oggi in vigore con le nazioni di Russia, Bielorussia, Kazakhstan e Ucraina. Questi ultimi tre paesi hanno da allora azzerato completamente il loro potenziale offensivo nucleare. Il trattato START I è scaduto nel dicembre 2009 ed è stato sostituito dal trattato New START.
7 Per maggiori approfondimenti sul Trattato di non proliferazione si rimanda a: I. Abbate e R. Daveri, Passato, presente e futuro del TNP ed il ruolo dell’Italia, in “Nuclear News” 8/2013,http://www.archiviodisarmo.it/siti/sito_archiviodisarmo/upload/documenti/57020_Abbate_Daveri_TNP_ ott_2013.pdf
8 http://www.austria1989.org/index.php?option=com_content&view=article&id=66&Itemid=112
9 http://repository.library.georgetown.edu/handle/10822/552558
10 http://www.osce.org/node/14087
11 http://www.fas.org/nuke/control/cfe/cfebook/chrono.html
12 Per un maggior approfondimento in merito, si consiglia in particolare: http://www.archiviodisarmo.it/siti/sito_archiviodisarmo/upload/documenti/69991_ABBATE_-_IL_DISARMO_NUCLEARE_UNILATERALE_DEL_KAZAKHSTAN_nov-_2013.pdf
13 Il SALT, Strategic Arms Limitation Talks (Trattato per la limitazione degli armamenti strategici), venne siglato tra Unione Sovietica e USA negli anni settanta in due turni: SALT I 1969-1972 e SALT II 1972-1979.
14http://www.greencrossitalia.org/home-mainmenu-1/editoriali/498-gorbaciov-qaddio-alle-arminucleariq?ml=5&mlt=system&tmpl=component