3. Il disarmo
Terzo elemento chiave per la deistituzionalizzazione della guerra è quello di affrontare la questione del disarmo e soprattutto del disarmo nucleare.
La comunità internazionale ha già adottato trattati e convenzioni che mettono al bando strumenti di distruzione di massa come le armi chimiche, biologiche e le mine anti-persona. A tutt’oggi, però, non esiste alcun regime internazionale di disarmo che limiti da una parte le piccole armi come i fucili automatici e l’artiglieria di piccolo calibro e, dall’altra, gli armamenti nucleari.C
Ci sono troppe piccole armi ovunque. Facendo seguito alla mia proposta dello scorso anno, sollecito ancora una volta l’adozione di adeguate restrizioni. Qualche progresso c’è già stato. Nel dicembre 1998 l’Assemblea generale dell’ONU ha approvato una risoluzione che invita a convocare entro il 2001 una conferenza internazionale per limitare la disponibilità delle piccole armi.
Sono invece scarsi i progressi per quanto riguarda le armi nucleari. Sono trascorsi quasi dieci anni dalla fine della Guerra fredda, eppure sulla faccia della Terra esistono ancora più di trentamila testate nucleari. Non sono stati fatti passi avanti né per quanto riguarda la ratificazione del Trattato per la riduzione delle armi strategiche russo-americano (START) né per quanto riguarda i negoziati per ridurre altri tipi di armi nucleari.
Dopo l’estensione indefinita del Trattato di non proliferazione nucleare del 1995, l’unico avanzamento è stata la decisione della Conferenza sul Disarmo di Ginevra, nell’agosto 1998, di dare inizio ai negoziati per un trattato che blocchi la produzione di materiali fissili destinati agli armamenti.
Nel maggio 1998, India e Pakistan hanno sconvolto la comunità internazionale con i loro test nucleari e con la decisione di produrre propri armamenti atomici. Un vero e proprio siluro nei confronti del Trattato di non proliferazione nucleare e del Trattato per la messa al bando dei test nucleari. Il fallimento del tentativo della comunità internazionale di convincere India e Pakistan a rinunciare ai test ha messo in luce i limiti di una politica di deterrenza unilaterale che può essere applicata solo dagli stati già dotati di armamenti nucleari. Attualmente sussiste l’evidente pericolo che altri paesi possano unirsi alla corsa agli armamenti atomici.
Recentemente gli Stati Uniti hanno annunciato l’intenzione di usare una centrale nucleare civile per produrre trizio a scopo militare. Il trizio è uno dei materiali usati nelle testate nucleari. Così facendo gli Stati Uniti hanno abbandonato la precedente linea di condotta che prevedeva una rigida separazione fra usi civili e militari dell’energia nucleare. Ciò dimostra l’arroganza delle potenze nucleari e fa dubitare della sincerità della retorica del disarmo americana.
In questo clima di fondo, nel giugno 1998 otto stati non nucleari – Brasile, Egitto, Irlanda, Messico, Nuova Zelanda, Slovenia, Sud Africa e Svezia – hanno emanato una dichiarazione congiunta che invita le cinque potenze nucleari e i paesi in grado di sviluppare armamenti nucleari – come India, Pakistan e Israele – a prendere misure per il disarmo e la non proliferazione. Inoltre hanno sottoposto all’Assemblea generale delle Nazioni Unite una bozza di risoluzione dal titolo “Verso un mondo senza armamenti nucleari: tempo di nuove proposte”. Adottata nel dicembre 1998, questa risoluzione si rivela più concreta di qualsiasi altra risoluzione mai adottata dall’ONU. Per esempio evidenzia la responsabilità delle potenze nucleari nel campo del disarmo e chiede di eliminare tutte le armi nucleari non strategiche, di elevare il livello in cui scatta automaticamente l’entrata in guerra e di impegnarsi ufficialmente a “non usare per primi” gli armamenti nucleari.
Gli otto paesi, a cui spesso si fa riferimento come Coalizione per un nuovo programma, hanno rinunciato al possesso di armi nucleari e al sostegno difensivo delle potenze nucleari. Per questo il loro programma ha ottenuto il supporto di molti altri stati non nucleari. In particolare Svezia, Brasile e Sud Africa hanno esperienza di aver abbandonato i programmi di sviluppo di armi nucleari. La proposta della coalizione si basa su una valutazione realistica, espressa dalle parole del presidente del Brasile Fernando Henrique Cardoso: «Non vogliamo una bomba atomica. Genera solo tensione e sfiducia nei paesi vicini e annullerebbe il processo di integrazione che stiamo costantemente rafforzando per il benessere del nostro popolo»34.
Nel luglio 1968, sei paesi sudamericani – Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay, Cile e Bolivia – hanno firmato un protocollo in cui rinunciavano al diritto di belligeranza nella loro area e mettevano fuori legge le armi di distruzione di massa. Hanno rinunciato all’uso della forza militare per risolvere tensioni locali, come per esempio dispute sui confini territoriali, e al possesso di armamenti nucleari, biologici e chimici, nonché alla ricerca scientifica su di essi, promettendo di espellere gli stati militaristi o totalitari dal mercato comune sudamericano.
Creando una “zona di pace”, questi paesi hanno incrementato l’affermarsi di rapporti di fiducia nella propria regione, allontanando anche la possibilità che uno qualsiasi di loro sia tentato dal diventare nucleare o dal collocarsi sotto l’“ombrello” di altri stati nucleari. Ciò concorda con quanto sostenevo in precedenza: creare fiducia in una zona geografica è la maniera più sicura di arrestare la proliferazione degli armamenti.
Zone denuclearizzate sono state costituite in America Latina, nel Pacifico meridionale, in Africa e nel Sudest asiatico, a dimostrazione del crescente numero di aree geografiche che rinunciano a basare la propria sicurezza sugli armamenti nucleari.
È giunto il momento che paesi come il Canada, la Norvegia, i Paesi Bassi e il Giappone, che hanno chiesto a gran voce il disarmo nucleare, dichiarino di abbandonare l’ ombrello nucleare e sostengano la coalizione del nuovo programma che già gode di un sostegno popolare simile a quello che le ONG hanno raccolto intorno all’Iniziativa delle medie potenze. Se i movimenti popolari e i governi favorevoli al disarmo si coalizzeranno – come nel Processo di Ottawa da cui scaturì il trattato anti-mine di terra – si potranno fare grandi passi avanti nell’eliminazione globale degli armamenti nucleari.
Nella sua dichiarazione contro gli armamenti nucleari del 1957, Josei Toda li descrisse come un male assoluto che priva l’umanità del diritto di esistere. Da allora la Soka Gakkai si è adoperata concretamente per la loro abolizione. Nel 1997 e 1998, grazie agli sforzi dei membri della divisione giovani, ci siamo impegnati insieme a ONG come la Fondazione per la pace nell’era nucleare a raccogliere firme per la petizione Abolition 2000. Abolition 2000 ha redatto un modello di convenzione che presenta punto per punto una serie di metodi verificabili per proibire ed eliminare gli armamenti nucleari. È mia sincera speranza che questa bozza di convenzione, ora documento ufficiale dell’ONU, serva, insieme alle proposte della coalizione per un nuovo programma, come punto di partenza per avviare un “Processo di Ottawa” per l’abolizione degli armamenti nucleari.
I negoziati per il disarmo non devono essere lasciati interamente nelle mani degli stati nucleari. È di vitale importanza che tali progetti riflettano la volontà popolare e le opinioni degli stati non nucleari. A tal fine, l’Istituto Toda ha condotto una serie di conferenze internazionali sulle politiche concrete e i programmi per l’abolizione del nucleare.
Si potrebbe obiettare che nessun sistema avrebbe senso senza la partecipazione di tutte le potenze nucleari. D’altro canto, inizialmente soltanto alcune delle potenze nucleari parteciparono alla formulazione del Trattato di non proliferazione ma, dopo un cospicuo impegno, alla fine si ottenne la partecipazione di tutte e cinque le potenze, degli stati con capacità di sviluppare armamenti nucleari e di quelli che, dopo aver condotto test, avevano in seguito deciso di rinunciare agli armamenti nucleari. Questo esempio ci suggerisce che prendere l’iniziativa per lavorare su un trattato può incoraggiare le potenze nucleari e i loro alleati a liberarsi dalla propria dipendenza.
Un millennio di armonia
Il filosofo americano Ralph Waldo Emerson (1803-82) scrisse: «In realtà è un pensiero che ha costruito questa funesta macchina da guerra e un pensiero potrà spazzarla via»35. Se facciamo dell’asserzione di Toda che le armi nucleari sono un male assoluto il principio guida della nostra epoca, riusciremo a sradicare l’idea che costituiscano – in quanto deterrente – un male necessario. La SGI coopererà con altre ONG per raggiungere questo scopo e creare un ventunesimo secolo libero dagli armamenti nucleari.
Un atteggiamento che vede il futuro come estensione del presente è passivo e disfattista. Il futuro è qualcosa che noi stessi dobbiamo delineare e creare. Non dobbiamo aspettare passivamente che le cose cambino: dobbiamo avanzare e spalancare le porte del nuovo secolo. Dobbiamo fare del 1999 un anno di svolta in cui è la gente stessa che sorge ad annunciare una nuova epoca.
Nel maggio di quest’anno i rappresentanti della società civile si riuniranno per l’Appello dell’Aia per una conferenza di pace. La SGI si impegna a sostenere attivamente questa conferenza di pace della gente comune, specialmente nei settori della pubblica informazione e dell’educazione. Anche quest’anno, in commemorazione della Prima Conferenza Internazionale di Pace che ebbe luogo a L’Aia nel 1899, ci saranno conferenze intergovernative a L’Aia e a San Pietroburgo, in Russia.
L’ Appello dell’ Aia per la Pace è una campagna e una conferenza per delegittimizzare il conflitto armato e creare una cultura di pace per il ventunesimo secolo. Si articola intorno a quattro aree tematiche: 1) rafforzamento delle istituzioni e legislazioni internazionali umanitarie e a tutela dei diritti umani; 2) progresso nella prevenzione, nella risoluzione pacifica e nella trasformazione del conflitto violento; 3) sviluppo e collegamento degli sforzi per il disarmo, compresa l’abolizione del nucleare; 4) identificazione delle cause fondamentali della guerra e sviluppo di una cultura di pace.
Da tempo io stesso chiedo una conferenza globale di rinuncia alla guerra e l’adozione di una Dichiarazione di rinuncia alla guerra, dunque ho immense aspettative per l’Appello dell’Aia per la Pace e per le Proposte dell’Aia per la pace e la giustizia nel 21° secolo, che saranno elaborate definitivamente e approvate. Confido che saranno un’ eloquente e possente espressione dell’universale desiderio dell’umanità di vivere libera dalla minaccia della guerra e che avranno la funzione di una rinuncia universale alla guerra. Spero e mi aspetto che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adotti immediatamente queste proposte come concreto programma di azione verso la creazione di un mondo senza guerra. La comunità internazionale dovrebbe applicare energicamente fino in fondo, tra le altre cose, le proposte scaturite dalla Quarta Sessione Speciale sul Disarmo, prevista per il 2001.
Un altro interessante progetto, che il Centro di Ricerche per il 21° Secolo di Boston ha sostenuto in diversi modi, è la stesura di una Carta della Terra da presentare all’ONU nel 2000 per l’approvazione al Forum delle ONG per il millennio. Sono in molti a sperare che nel 2002, dieci anni dopo la Conferenza sull’ambiente e lo sviluppo di Rio de Janeiro, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adotterà la Carta della Terra.
Questi due movimenti – rinunciare alla guerra e istituire una carta per il nostro pianeta – sono espressioni di solidarietà globale e saggezza umana. Con queste guide dobbiamo fare del ventunesimo secolo un’era libera dagli armamenti nucleari, l’inizio di un nuovo millennio di armonia e pacifica coesistenza fondata sul rispetto per la santità della vita. Possiamo e dobbiamo creare una società globale civile che sia veramente della gente, dalla parte della gente e per la gente. Il coraggio e la speranza sono essenziali. Non dobbiamo mai perdere queste qualità umane indispensabili. Ognuno di noi si deve risvegliare alla propria missione unica in quanto protagonista di quest’opera di trasformazione della storia. Noi esseri umani dobbiamo unirci nell’impegno di affrontare e risolvere i problemi pressanti del nostro pianeta.
I membri della SGI, insieme alle persone di buone volontà di ogni provenienza, sono determinati a costruire un grande sentiero che gli esseri umani possano, tra cento, duecento e perfino mille anni, percorrere con sicurezza e serenità. Dobbiamo lastricarlo bene, accettando con fiducia in noi stessi le grandi sfide che ci troviamo di fronte, gli occhi puntati sui maestosi picchi del nuovo millennio.
NOTE
34) Da un rapporto dell’agenzia di stampa brasiliana Estado, 13 luglio 1998
35) Ralph Waldo Emerson, The Complete Writings of Ralph Waldo Emerson, vol.II, NY, WM H Wise 1 Co., 1929, p.1129
tratto da: Daisaku Ikeda “Verso una cultura di pace. Una visione cosmica.” Proposta di Pace 1999