Creazione di valore per un cambiamento globale

26/01/2014

Per un mondo libero dalle armi nucleari

[…] La terza area che desidero esaminare riguarda le proposte per il divieto dell’uso e per l’abolizione delle armi nucleari. Se nel caso di disastri naturali come terremoti e tsunami è possibile attutire il loro impatto ma è impossibile evitare che si manifestino, la minaccia delle armi nucleari è caratterizzata da una situazione diametralmente opposta: il loro uso provocherebbe una devastazione su scala più grande di quella dei disastri naturali, ma può essere evitato e persino eliminato grazie a un chiaro esercizio di volontà politica da parte dei governi del mondo.

Nell’agosto dello scorso anno in Siria sono state usate armi chimiche che hanno causato la morte di molti civili. Questo atto è stato condannato con forza dalla comunità internazionale e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione evidenziando che «nessuna fazione in Siria dovrebbe usare, sviluppare, produrre, acquisire, accumulare, conservare o trasferire armi chimiche»,51 e ha ordinato l’immediata distruzione di qualunque ordigno del genere nel paese.

Quanto accaduto ha rinnovato la consapevolezza della natura inumana delle armi di distruzione di massa, e il Consiglio di Sicurezza ha affermato con severità il principio secondo cui a nessuno è permesso possedere o usare armi chimiche.

È incomprensibile che questo stesso principio non sia stato ancora applicato alle armi nucleari.

Nel suo Parere consultivo del 1996 sulla legalità della minaccia o dell’uso delle armi nucleari, la Corte internazionale di giustizia ha dichiarato: «Il potere distruttivo delle armi nucleari non può essere limitato in termini di spazio né di tempo. Esse hanno il potenziale per distruggere la civiltà nel suo insieme e l’intero ecosistema del pianeta».52

Come si evince da tale espressione, le conseguenze umanitarie dell’uso delle armi nucleari sarebbero incredibilmente più catastrofiche persino di quelle delle armi chimiche.

Per molti anni la logica del predominio della sicurezza nazionale nell’ambito delle politiche internazionali ha indebolito la volontà di affrontare e dibattere delle conseguenze umanitarie delle armi nucleari. Il Documento finale della Conferenza di revisione del Trattato di non-proliferazione nucleare (Npt) del 2010, che ha espresso «profonda preoccupazione per le conseguenze umanitarie catastrofiche di un qualunque uso di armi nucleari»,53 ha innescato un cambiamento nei termini della discussione.

Nel marzo dell’anno scorso ha avuto luogo a Oslo, in Norvegia, la Conferenza sull’impatto umanitario delle armi nucleari: è stata la prima volta in quasi settant’anni dall’inizio dell’era nucleare in cui la comunità internazionale ha cercato di riesaminare queste armi da una prospettiva umanitaria. Uno degli obiettivi chiave della conferenza consisteva nella valutazione scientifica dell’impatto, e la riaffermazione del fatto che «è improbabile che uno Stato o un’istituzione internazionale possa affrontare in maniera adeguata l’immediata emergenza umanitaria causata dalla detonazione di un’arma nucleare e fornire assistenza sufficiente alle persone colpite» ha rappresentato uno dei risultati più importanti.54

Queste conclusioni hanno contribuito ad accelerare l’impegno di un numero crescente di governi che insistono affinché all’impatto umanitario delle armi nucleari sia dato un posto centrale in tutte le discussioni sul disarmo e la non proliferazione nucleare. A partire dal maggio 2012 questi governi hanno più volte emesso dichiarazioni congiunte su tale argomento, e la quarta in ordine di tempo, rilasciata nell’ottobre del 2013, è stata firmata dai governi di centoventicinque Stati, tra cui il Giappone e numerosi altri Stati protetti dall’ombrello nucleare di Stati nucleari alleati.

Il movimento che si occupa dell’impatto umanitario dell’uso delle armi nucleari è cresciuto all’interno di un impegno diffuso da parte della società civile mondiale, tra cui spiccano i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki che hanno per lungo tempo levato le voci affinché nessuno dovesse più sperimentare l’orrore della guerra nucleare. Ha un significato profondo il fatto che due terzi degli Stati membri delle Nazioni Unite abbiano confermato che: «È nell’interesse della pura sopravvivenza dell’umanità che le armi nucleari non vengano mai più usate, in alcuna circostanza. Gli effetti catastrofici della detonazione di un’arma nucleare, che avvenga per incidente, errore di valutazione o disegno, non possono essere adeguatamente affrontati».55

Similmente, al Summit di Reykjavik del 1986 il segretario generale sovietico Michail Gorbaciov e il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan (1911-2004) discussero con franchezza nel tentativo di raggiungere un accordo per la completa eliminazione delle armi nucleari, e ciò fu possibile grazie alla comune preoccupazione per le conseguenze catastrofiche di un loro impiego. Riflettendo su tale evento, Gorbaciov in seguito ricordò: «Senza Chernobyl, Reykjavik non avrebbe mai avuto luogo. Senza Reykjavik, gli sforzi per il disarmo nucleare non sarebbero proseguiti. Se siamo stati incapaci di gestire le radiazioni emesse da un singolo reattore nucleare, come potremmo gestire la contaminazione radioattiva rilasciata da detonazioni nucleari in tutta l’Unione Sovietica, gli Stati Uniti e il Giappone? Sarebbe la fine».56

Anche se poi si dimostrò impossibile conciliare le posizioni differenti sull’Iniziativa di difesa strategica (Sdi) e i negoziati si interruppero senza il raggiungimento di un accordo sull’eliminazione completa delle armi nucleari, Reagan già prima di questo incontro aveva adottato la visione di un mondo libero dalle armi nucleari dichiarando: «Nutro il sogno di un mondo senza armi nucleari. Voglio che i nostri figli, e in particolare i nostri nipoti, siano liberi da queste armi».57

L’anno seguente (1987) fu firmato il Trattato sulle forze nucleari a medio raggio (Inf), il primo accordo bilaterale tra Stati Uniti e Unione Sovietica che eliminava un’intera categoria di armi nucleari.

Nel discorso pronunciato nel giugno 2013 a Berlino, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha tratto acute conclusioni sulla situazione attuale: «Non possiamo più vivere nella paura di un annientamento globale, e finché esistono le armi nucleari non siamo veramente al sicuro».58

La possibilità di un incidente che coinvolga armi nucleari, un attacco sferrato sulla base di informazioni errate, o persino il terrorismo nucleare sono preoccupazioni costanti, perché causerebbero conseguenze umanitarie catastrofiche. Questi pericoli sono aggravati dal crescente numero di paesi che possiedono armi nucleari.

Un attento esame delle differenze e delle similitudini tra la situazione attuale e la guerra fredda può generare nuove idee nel percorso verso un mondo libero dalle armi nucleari. Forse la differenza più rilevante consiste nel fatto che è diventato sempre più difficile immaginare quello scambio nucleare su vasta scala che si temeva all’epoca della guerra fredda. E allo stesso tempo cresce la consapevolezza della scarsa utilità militare delle armi nucleari in risposta a minacce del nostro tempo come ad esempio il terrorismo.

In altre parole si è passati da un’epoca in cui il pericolo proveniva dall’esistenza del conflitto a un’epoca resa pericolosa dalla persistente esistenza delle armi nucleari. Lo scontro intenso della guerra fredda provocò una sensazione di crisi che diede origine a una posizione di mutua deterrenza in cui le due parti si minacciavano a vicenda con arsenali nucleari dalla inimmaginabile capacità distruttiva. Al contrario, oggi è l’esistenza costante di armi nucleari in se stessa a generare insicurezza perché spinge nuovi Stati ad acquisirle e rafforza la convinzione dell’impossibilità di abbandonarle negli Stati che ne sono già dotati.

La crisi economica globale iniziata sei anni fa ha eroso la posizione finanziaria di praticamente tutti i governi nazionali, ma il costo globale per mantenere queste armi sempre più inutili raggiunge ancora l’incredibile cifra di cento miliardi di dollari all’anno.59 Un numero sempre maggiore di persone sta arrivando a considerare le armi nucleari come un fardello che pesa sulle finanze nazionali e non come un bene che rafforza il prestigio del paese. Alla luce di tutti questi fattori, dovrebbe accrescersi la motivazione degli Stati dotati di armi nucleari ad agire per ridurre la minaccia posta dall’esistenza persistente di tali ordigni.

In termini di caratteristiche comuni o di continuità tra la guerra fredda e il presente, c’è da sottolineare che nei sessantotto anni dai bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki a oggi nessun capo di Stato ha ordinato un attacco nucleare. A questo proposito è utile ricordare le parole del presidente statunitense Harry S. Truman (1884-1972) pronunciate nel 1948, circa tre anni dopo aver preso la decisione di usare le armi nucleari contro le due città giapponesi: «Dovete capire che non si tratta di un’arma militare. […] È usata per spazzare via donne e bambini e persone disarmate, e non è pensata per usi militari. Dobbiamo trattarla diversamente dai fucili, dai cannoni e da armi comuni di questo genere».60

Nel pronunciare questa dichiarazione, Truman stava insistendo sui vincoli relativi all’uso di tali ordigni e riconosceva la particolare responsabilità dell’America come nazione dotata di armi nucleari. L’anno successivo l’Unione Sovietica effettuò con successo la sua prima esplosione nucleare sperimentale. Da allora il mondo ha vissuto all’ombra della dottrina della deterrenza nucleare, e il trovarsi in possesso del “bottone nucleare”, che avrebbe potuto dare il via a un attacco devastante, ha impresso in diverse generazioni di capi di Stato, in misura graduale e impercettibile, l’evidenza che le armi nucleari non sono come le altre, non sono armi militari. Ciò a sua volta ha agito da efficace freno al loro uso.

L’anno scorso, sulla base di una precedente risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, fu istituito un gruppo di lavoro aperto con il compito di sviluppare proposte per negoziazioni multilaterali volte al raggiungimento e al mantenimento di un mondo libero da armi nucleari. Nel corso di una riunione tenutasi in giugno il governo austriaco, che aveva svolto un ruolo determinante nell’assicurare l’approvazione della risoluzione, sottomise un documento operativo che poneva la seguente domanda: «Tutti gli Stati sono uniti nell’obiettivo universale di ottenere e mantenere un mondo libero dalle armi nucleari. Tuttavia permangono percezioni diverse riguardo alla strada che potrebbe condurre con maggiore efficacia a ottenere l’eliminazione irreversibile delle armi nucleari. Come si può colmare questo divario percettivo?».61

Secondo la mia opinione esiste un sentimento semplice che può colmare le differenze tra la posizione dei firmatari delle dichiarazioni congiunte sulle conseguenze umanitarie dell’uso delle armi nucleari e quella di capi di Stato che, come in precedenza il presidente Truman, si sentono ancora costretti ad affidarsi alle armi nucleari per raggiungere gli obiettivi di sicurezza nazionale, pur percependole radicalmente diverse dalle altre armi. E quel sentimento semplice è il desiderio di non testimoniare né sperimentare mai i catastrofici effetti umanitari delle armi nucleari.

Nel settembre del 1957, mentre la corsa agli armamenti nucleari stava accelerando, il mio maestro Josei Toda rilasciò una dichiarazione che esortava all’abolizione delle armi nucleari stigmatizzandole come una minaccia inammissibile al diritto di vivere della popolazione mondiale. Introducendo quella dichiarazione, il primo gennaio dello stesso anno aveva dichiarato: «Mi auguro di non vedere più usata la parola “infelicità” per descrivere il mondo, una nazione, una persona».62

Potrebbe accadere che per alcuni leader politici la frase «in alcuna circostanza» – come appare nella Dichiarazione congiunta – generi preoccupazione per le restrizioni sulle opzioni militari necessarie a raggiungere gli obiettivi di sicurezza. Riformulare tale espressione chiarendo che le conseguenze umanitarie catastrofiche delle armi nucleari non dovrebbero essere inflitte “ad alcun essere umano” – riportando così l’attenzione sulle singole vittime – potrà ridurre la spinta a individuare eccezioni che possano giustificare l’uso di queste armi.

Gli ordigni nucleari, la cui funzione centrale è cancellare popolazioni inermi, costituiscono un limite estremo che non deve essere mai superato. Come chiarì l’energica denuncia di Toda, non è ammissibile infliggere ad “alcun essere umano” le loro catastrofiche conseguenze. Credo che questo riconoscimento contenga la chiave per il superamento dell’idea che tali armi possano essere usate per realizzare obiettivi di sicurezza nazionale.

Ho più volte chiesto la convocazione di un summit per l’abolizione delle armi nucleari da tenersi a Hiroshima e Nagasaki l’anno prossimo, il 2015, nel settantesimo anniversario del bombardamento atomico di quelle città. Dovrebbe essere un incontro della popolazione mondiale al di là delle nazionalità o delle cariche politiche, nel corso del quale si sottoscriva l’impegno comune a compiere azioni che conducano a un mondo libero da armi nucleari.

In particolare spero che i rappresentanti delle nazioni che hanno firmato la Dichiarazione congiunta, insieme con i rappresentanti della società civile mondiale e, soprattutto, con i giovani cittadini di tutto il mondo – inclusi gli Stati dotati di armi nucleari – si riuniscano in un summit giovanile globale che adotti una dichiarazione nella quale si affermi il loro impegno a porre fine all’era delle armi nucleari. Il più grande significato di tale evento sarà la spinta che potrà imprimere alle azioni future.

 

Un accordo per il non-uso delle armi nucleari

In concomitanza con quanto detto sopra, desidero avanzare due proposte concrete.

La prima riguarda un accordo per il non-uso delle armi nucleari come conseguenza naturale dell’aver posto al centro delle deliberazioni per la Conferenza di revisione del Npt del 2015 i catastrofici effetti a livello umanitario dell’uso di tali armi, che costituirebbe un mezzo per procedere all’implementazione dell’articolo VI del Npt, in base al quale gli Stati nucleari si sono impegnati in buona fede a perseguire il disarmo nucleare.

A partire dalla decisione del 1995 di estendere indefinitamente il Trattato di non-proliferazione (Npt), è stata sottolineata la necessità di uno strumento legalmente vincolante che fornisca agli Stati non dotati di armi nucleari le cosiddette negative security assurances [gli impegni delle potenze atomiche a non usare ordigni nucleari contro Stati non nucleari che fanno parte del Trattato, n.d.r.]. Un accordo per il non-uso di armi atomiche in cui gli Stati nucleari si impegnino, come obbligo radicato nello spirito essenziale del Npt, a non usare armi nucleari contro gli Stati partecipanti al Trattato potrebbe costituire un mezzo per rispondere a questa necessità. Un simile accordo avrebbe l’effetto di ridurre drasticamente l’instabilità prodotta dall’esistenza di armi nucleari in differenti regioni, e rappresenterebbe anche un passo significativo verso la riduzione del ruolo delle armi nucleari nei sistemi di sicurezza nazionale.

Il Documento finale della Conferenza di revisione del Npt del 2010, dopo aver elencato le misure che gli Stati dotati di armi nucleari dovrebbero adottare, li invita a relazionare sul loro progresso in tal senso alla riunione del Comitato preparatorio del 2014, e sottolinea che la Conferenza di revisione del Npt del 2015 «farà il punto della situazione e rifletterà sui passi successivi per la piena implementazione dell’Articolo VI».63 Tra le altre misure, il documento invita gli Stati dotati di armi nucleari a ridurre il ruolo di tali ordigni nei loro sistemi di sicurezza. Un accordo per il non-uso delle armi nucleari che includa i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu rappresenterebbe una mossa sostanziale in quella direzione.

Nel 2016 dovrebbe aver luogo in Giappone il Summit del G8. In concomitanza con tale evento potrebbe svolgersi un summit allargato dedicato alla realizzazione di un mondo senza armi nucleari, che costituirebbe la sede opportuna per assumere pubblicamente l’impegno a sottoscrivere al più presto un accordo in tal senso.

Al Summit della Nato tenutosi due anni fa, i leader degli Stati partecipanti hanno espresso l’opinione condivisa secondo cui «le circostanze in cui potrebbe essere contemplato un qualunque uso di armi nucleari sono estremamente remote».64 Questa è la dimostrazione che la percezione dell’inutilità delle armi nucleari continua ad aumentare.

Ora è il momento che gli Stati dotati di armi nucleari raccolgano la volontà politica di realizzare i loro obblighi secondo il programma del Npt e di dar loro forma con un accordo per il non-uso.

Alla fine degli anni ‘60 il Segretario di Stato inglese per la Difesa Denis Healey fece un’analisi della deterrenza nucleare estesa durante la guerra fredda: bastava solo il 5% di plausibilità di una ritorsione americana per scoraggiare un attacco nucleare sovietico, mentre era necessario il 95% di quella stessa plausibilità per rassicurare gli Stati europei.65 Da ciò si evince che le politiche delle nazioni che si sono affidate all’ombrello nucleare dei loro alleati hanno rappresentato uno dei fattori principali per il mantenimento dell’attuale eccessivo livello di armamento nucleare.

La stipula di un accordo per il non-uso rafforzerebbe il senso di sicurezza fisica e psicologica di tali Stati, aprendo la via ad accordi per la sicurezza non dipendenti dalle armi nucleari, e determinerebbe le condizioni necessarie per un ruolo ridotto di tali armi. Regioni come l’Asia nordorientale e il Medio Oriente, che attualmente non sono incluse in zone libere da armi nucleari, potrebbero trarre vantaggio da un accordo per il non-uso e dichiararsi “zone di non-uso di armi nucleari”, passo preliminare per diventare poi “zone libere da armi nucleari”.

Malgrado rimanga sotto l’ombrello nucleare degli Stati Uniti, il Giappone ha recentemente firmato la Dichiarazione congiunta sulle conseguenze umanitarie delle armi nucleari. È mia profonda speranza che questo paese riscopra la sua motivazione originaria di nazione che ha sofferto la tragedia dell’attacco atomico e si unisca ad altri paesi nella guida verso la definizione di un accordo per il non-uso, arrivando alla fine alla creazione di zone di non-uso.

 

Strategie per il divieto delle armi nucleari

La mia seconda proposta consiste nell’utilizzare il processo che si sta sviluppando intorno alle dichiarazioni congiunte sull’impatto umanitario dell’uso delle armi nucleari per coinvolgere l’opinione pubblica internazionale e attivare negoziazioni per una loro proibizione completa. È inutile dire che queste iniziative dovrebbero essere parallele e complementari agli sforzi realizzati all’interno del Npt.

Nella mia proposta di due anni fa ho esplorato la possibilità di un approccio in due fasi verso il divieto e l’abolizione delle armi nucleari: potrebbe assumere la forma di un trattato che esprime l’impegno, assunto alla luce delle conseguenze umanitarie dell’uso delle armi nucleari, per una futura rinuncia a fare affidamento su tali armi come mezzo per raggiungere la sicurezza, accompagnato da protocolli separati contenenti condizioni rigorose per la loro entrata in vigore e requisiti che definiscano la messa al bando in forma concreta e stabiliscano le regole per una sua verifica. Un simile trattato, avevo dichiarato, esprimerebbe la chiara volontà della comunità internazionale che le armi nucleari non trovino posto nel nostro mondo, pur se l’entrata in vigore dei protocolli separati richiedesse tempo. Una dichiarazione del genere, secondo la mia opinione, avrebbe finalmente aperto la strada alla fine dell’era delle armi nucleari.

In questo contesto desidero proporre che la formula adottata nel caso del Trattato per la messa al bando totale degli esperimenti nucleari (Ctbt), che entrerà in vigore solo quando saranno soddisfatte una serie di rigide condizioni, sia considerata come un possibile modello per i protocolli di un trattato di divieto delle armi nucleari. Ciò sarebbe significativo perché lo scopo di un simile trattato non è sanzionare o punire l’uso delle armi nucleari, ma stabilire e rendere universale la norma per la loro messa al bando.

Oltre ai centoventicinque paesi che hanno firmato la Dichiarazione congiunta, credo che un certo numero di governi condividano questa preoccupazione ma, per varie ragioni legate alla sicurezza, trovino difficile accettare un divieto del loro uso. Per tali nazioni l’inclusione, all’interno della struttura di base del trattato, di garanzie istituzionali come quelle di cui ho parlato, potrebbe servire ad alleviare quelle preoccupazioni, consentendo ad altri paesi di firmare e ratificare un trattato di messa al bando. Senza considerare le specifiche dell’approccio usato, è importante ricordare che persino un accordo per il non uso è solo una testa di ponte verso il nostro obiettivo ultimo: la messa al bando e l’abolizione delle armi nucleari. Questo obiettivo sarà raggiunto solo grazie a un’accelerazione dell’impegno in tal senso, spinta dalle voci unite della società civile globale.

A tale proposito svolgerà una funzione particolarmente importante l’arco di tempo che va dal febbraio 2014, in cui si terrà in Messico la Seconda conferenza sull’impatto umanitario delle armi nucleari, al settantesimo anniversario del bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, nell’agosto del 2015. Durante questo periodo cruciale la Sgi continuerà a collaborare con la Campagna per l’abolizione delle armi nucleari (Ican) e altri gruppi simili per radunare e amplificare le voci dei cittadini del mondo – dei giovani in particolare – che chiedono un mondo libero dalle armi nucleari.

Nell’aprile dell’anno scorso i giovani della Sgi hanno condotto un sondaggio di pubblica opinione tra i giovani in nove nazioni riguardo alle armi nucleari e alle loro conseguenze umanitarie. I risultati, che sono stati consegnati a Cornel Feruta, presidente del Comitato preparatorio della Conferenza di revisione del Npt, hanno mostrato che il novanta per cento degli intervistati considerava le armi nucleari inumane e l’ottanta per cento circa chiedeva un trattato che le bandisse.66

L’opera di realizzazione di un mondo senza ordigni nucleari ha un significato più ampio della semplice eliminazione di queste orribili armi: è un processo attraverso cui le persone, grazie ai loro sforzi, accettano la sfida di realizzare una nuova era di pace e coesistenza creativa. Questa è la premessa necessaria per una società globale sostenibile, un mondo in cui tutte le persone – soprattutto i membri delle generazioni future – possano vivere nel pieno godimento della loro dignità innata di esseri umani.

Se consideriamo tale impresa come l’opera della creazione di valore realizzata dall’impegno comune degli abitanti della Terra del XXI secolo, diventa chiaro che il ruolo chiave deve essere rivestito dai giovani. Quando i giovani, che porteranno sulle spalle le speranze e le responsabilità dell’era a venire, si uniranno nella determinazione secondo cui umanità e armi nucleari non possono coesistere, e che gli orrori delle armi nucleari non devono più colpire nessuno, non vi sarà ostacolo che non potrà essere superato.

I membri della Sgi sono determinati a proseguire gli sforzi per eliminare le armi nucleari e tutte le altre cause di infelicità sulla Terra e a profondere il proprio impegno per la creazione di valore, lavorando con i giovani del mondo e con tutti coloro che si dedicano a una visione del futuro piena di speranza.

Note:

51) Onu, Consiglio di Sicurezza, “Resolution 2118 (2013)”, S/RES/2118 (2013) adottata dal Consiglio di Sicurezza nell’ambito della sua 7038° riunione, 27 settembre 2013, http://www.securitycouncilreport.org/atf/cf/%7B65BFCF9B-6D27-4E9C-8CD3-CF6E4FF96FF9%7D/s_res_2118.pdf (ultimo accesso 18 febbraio 2014), p. 2.

52) Icj (Corte internazionale di giustizia), Legality of the Threat or Use of Nuclear Weapons, Advisory Opinion, Icj Reports(Legalità della minaccia o uso delle armi nucleari, Parere consultivo, Rapporti dell’Icj), 1996,http://www.icj-cij.org/docket/files/95/7495.pdf (ultimo accesso 18 febbraio 2014), p.243.

53) Assemblea Generale delle Nazioni Unite, “2010 Review Conference of the Parties to the Treaty on the Non-Proliferation of Nuclear Weapons: Final Document” (Conferenza di Revisione delle parti sul Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari del 2010: Documento finale), NPT/CONF.2010/50, New York, 2010, vol. 1, p. 19.

54) Ministero degli Affari Esteri norvegese, “Conference: Humanitarian Impact of Nuclear Weapons” (Conferenza: impatto umanitario delle armi nucleari), 2013, http://www.regjeringen.no/en/dep/ud/selected-topics/humanitarian-efforts/humimpact_2013.html?id=708603 (ultimo accesso 18 febbraio 2014).

55) Onu, Assemblea Generale, “Joint Statement on the Humanitarian Consequences of Nuclear Weapons” (Dichiarazione congiunta sulle conseguenze umanitarie delle armi nucleari),21 ottobre 2013,

http://www.un.org/disarmament/special/meetings/firstcommittee/68/pdfs/TD_21-Oct_CL-1_New_Zealand-(Joint_St) (ultimo accesso 18 febbraio 2014), p. 2.

56) Fumihiko Yoshida, Kaku no Amerika (Gli Stati Uniti delle armi nucleari), Iwanami shoten, Tokyo, 2009, p. 145.

57) Citato in Melvyn P. Leffler, For the Soul of Mankind: The United States, the Soviet Union, and the Cold War(Per l’anima dell’umanità: gli Stati Uniti, l’Unione Sovietica, e la guerra fredda),Hill and Wang, New York, 2007, p. 388.

58) Barack Obama, “Remarks by President Obama at the Brandenburg Gate, Berlin, Germany” (Osservazioni del presidente Obama alla Porta di Brandeburgo di Berlino, Germania),19 giugno 2013,

http://www.whitehouse.gov/the-press-office/2013/06/19/remarks-president-obama-brandenburg-gate-berlin-germany (ultimo accesso 18 febbraio 2014).

59) Ramesh Jaura, “Challenges Remain But Good News for Nuclear Disarmament” (Le sfide rimangono, nonostante le buone notizie per il disarmo nucleare), IDN-InDepthNews, 28 ottobre 2013,

http://www.indepthnews.info/index.php/global-issues/1860-challenges-remain-but-good-news-for-nuclear-disarmament (ultimo accesso 18 febbraio 2014).

60) Citato in David E. Lilienthal, The Journals of David E. Lilienthal (I diari di David E. Lilienthal), a cura di Helen M. Lilienthal, 7 volumi, Harper & Row, New York, 1964-83, vol. 2, p. 391.

61) Onu, Assemblea Generale, “An Exploration of Some Contributions That Also Non-nuclear Weapon States Could Engage in to Take Multilateral Nuclear Disarmament Forward” (Analisi di alcuni contributi che anche gli Stati non dotati di armi nucleari potrebbero fornire per far progredire il disarmo nucleare multilaterale), Working Paper, A/AC.281/WP.5, Ginevra, 28 giugno 2013,http://www.unog.ch/80256EDD006B8954/(httpAssets)/49A1EF0911CBF2DCC1257BAC00391485/$file/A_AC.281_WP.5+A.pdf(ultimo accesso 18 febbraio 2014), p. 1.

62) Josei Toda, Toda Josei Zenshu (Opere complete di Josei Toda), 9 volumi, Seikyo Shimbunsha, Tokyo, 1981-90, vol. 3, p. 290.

63) Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Conferenza di revisione del 2010op. cit., p. 21.

64) Nato (North Atlantic Treaty Organization), “Deterrence and Defence Posture Review” (Revisione della posizione su deterrenza e difesa), comunicato stampa 2012 063, 20 maggio 2012, http://www.nato.int/cps/en/natolive/official_texts_87597.htm?mode=pressrelease (ultimo accesso 18 febbraio 2014).

65) Denis Healey, The Time of My Life (L’epoca della mia vita), Michael JosephLondon, 1989, p. 243.

66) Sgi (Soka Gakkai International), “Survey: International Survey by Sgi Youth Shows 91% Consider Nuclear Weapons Inhumane” (Sondaggio internazionale dei giovani della Sgi mostra che il 91% considera inumane le armi nucleari), 6 dicembre 2013, http://www.peoplesdecade.org/decade/survey/2013/130424.html (ultimo accesso 18 febbraio 2014).

 

tratto da: Creazione di valore per un cambiamento globale